IO, LA REPUBBLICA ED EUGENIO SCALFARI.




 di Luigi Ciavarella

Cominciai a comprare il quotidiano “La Repubblica” credo verso la fine dei settanta forse inizio ottanta attratto dal formato tabloid con cui veniva confezionato. Naturalmente il solo aspetto esteriore non bastava per innamorarsi di un giornale, serviva altro, servivano i contenuti ed io imparai presto ad apprezzarli.

Fu proprio durante il periodo in cui la mia vita stava subendo una svolta (infatti fu il momento in cui, seppure timidamente, stavo riprendendo il filo del discorso sulla musica rock, lasciata alcuni anni prima) quando entrò nella mia vita La Repubblica come giornale di riferimento per i miei bisogni di informazioni. Non sapevo ancora niente né di Eugenio Scalfari, che quel giornale l'aveva fondato nel 1976, ne di altri che ci scrivevano, quando comprai la mia prima copia, eppure bastò quel senso di novità che trasmetteva quel giornale a spingermi a guardare in quella direzione.

Finora i giornali a cui avevo attinto per le mie letture, sporadicamente si intende, furono L'Unità, Paese Sera e qualche volta il Manifesto, chiaramente tutti di sinistra perché io ero comunista e guardavo in quell'area per le mie esigenze informative.

Però subito dopo le prime letture mi resi conto di non poterne più fare a meno. I fatti, le lucide analisi, le opinioni di illustri nomi del giornalismo italiano, ed altro ancora, mi fecero capire che era il giornale che cercavo e che finalmente avevo trovato.

Avevo meno di trentanni quando cominciai a comprare La Repubblica regolarmente, affezionandomi da subito agli editoriali di Eugenio Scalfari, che possedevano sempre una scrittura in apparenza semplice ma molto circostanziata, poi c'erano gli articoli di Sandro Viola, Paolo Galimberti, Giorgio Bocca, ma anche quelli di Corrado Augias, Barbara Spinelli, Enzo Biagi sino a Lucia Annunziata, grande cronista che inviava dai posti più impensabili le sue cronache puntuali.

Anzi le copie ad un certo punto cominciai persino a conservarle, collezionarle, cercando spazi adeguati nel garage, sino a quando smisi senza però rinunciare a quei numeri diventati iconici perché cristallizzavano un evento storico.

Sono ancora lì in attesa che qualcuno un giorno li butti via perché non bisogna mai confondere la passione con la devozione dal momento che il tempo passa e ciò che ieri ti sembrava logico adesso non lo è più.

Eugenio Scalfari ha inventato un nuovo modo di approcciarsi all'informazione. Questo è notorio. Non soltanto sotto l'aspetto esteriore ma sopratutto sulla gestione del fatto che non fu soltanto informazione ma anche conoscenza. Un giornale che produceva cultura anche quando parlava di politica. Dopo la lettura si avvertiva sempre quel senso di accrescimento del proprio sapere. A volte ti invogliava persino ad approfondire ulteriormente l'argomento, magari attraverso la ricerca di qualche libro adeguato. Così riusciva a coinvolgersi, a farti entrare dentro una materia che sino ad un attimo prima, su un altro giornale, sarebbe finita lì.

Scalfari non faceva mistero sul fatto che un giornale “fa” politica. Quando si esprime una opinione in un editoriale si trasmette un giudizio, quindi è un atto politico poiché quelle parole possono influenzare persone che leggono il pezzo. Lui ne era consapevole. Per questo favorì, nel corso del tempo, l'avvicinamento di tutta l'area di sinistra, da Enrico Berlinguer a Bettino Craxi ad altri, perché riteneva questa unità indispensabile per creare un polo unico in grado di competere con la DC ed altre forze affine. Questa idea lo avvicinò dapprima a Berlinguer, in modo sincero, spronandolo a perseguire una politica di inclusione e questo sforzo me lo rese ancora più vicino perché anch'io avevo una stima smisurata nei confronti del segretario del PCI.

Poi attraversò la vita politica di Ciriaco De Mita, allora potente segretario della DC, che aveva nei confronti del PCI una certa simpatia. Poi altri ancora perché aveva sempre presente l'idea fissa che soltanto con una vera alleanza a sinistra, solida e costruttiva, si poteva cambiare il Paese.

Ma lo Scalfari della vecchiaia è la persona, riflessiva sui grandi temi del sapere, che amo di più. Il direttore che, dopo aver lasciato la direzione del giornale affidandolo ad un altro grande del giornalismo italiano, Ezio Mauro, che le nostre strade si avvicinarono ulteriormente perché, svincolato in gran parte dai temi d'attualità, cominciò a scrivere sulle colonne del suo giornale di filosofia, di storia, le sono state le sue grandi passioni, insomma del suo sapere trasmettendomi una forte inquietudine e una curiosità che andò oltre la lettura dei suoi puntuali editoriali domenicali per sconfinare nell'universo dei suo libri che egli ha scritto nel corso degli ultimi anni della sua vita, che io ho fatto miei. I titoli si possono leggere nella sua bibliografia disponibile sul web, testi che io ho letteralmente divorato e di cui conservo di ciascun volume un ricordo indelebile, appagante. 

Come la sua figura d'intellettuale, esile e barbuta, che si erge al di sopra di tutti.

E' stato un faro per la mia generazione, per me anche qualcosa di più.

Grazie Direttore.

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