POP STORY DI RICCARDO BERTONCELLI RILETTO (QUASI) CINQUANTANNI ANNI DOPO.

Durante gli anni della nostra innocente (e trasognata) giovinezza, diciamo intorno alla metà dei sessanta, quando lo spirito della musica rock si rivelò timidamente alla nostra conoscenza, i Beatles e i Rolling Stones erano da noi considerati sulla stesso piano, nonostante la tv e la radio affermassero il contrario. Infatti sia “Michelle” che “Paint it Black”, per esempio, venivano recepite come le due facce della stessa medaglia. Era come dire che entrambe le formazioni inglesi volessero dirci: divertitevi e non pensate ad altro. Era inutile soffermarsi sul fatto che entrambi avevano origini formative diverse, stile diverso, questo lo avremmo scoperto soltanto nei settanta quando incominciarono a circolare i primi libri e le prime riviste musicali con il compito importante di mettere ordine nel concitato mondo della musica rock.

In questo senso credo che il volume “Pop Story” di Riccardo Bertoncelli (con sotto titolo "Suite per consumismo, pazzia e contraddizioni") uscito per l'Arcana nel 1973 abbia avuto in tal senso un ruolo fondamentale riguardo la cognizione di quei meccanismi che regolano l'universo del rock fatto di dischi e personaggi incredibili, canzoni e suoni, che hanno traghettato le sorti di quelle manifestazioni. 

In realtà il volume era una “guida all'ascolto”, uno dei primi tentativi critici di raccontare le vicende musicali accadute sin lì e che avevano impegnato un gran numero di persone e cose, senza che questo vincolasse l'autore a dilungarsi in analisi sociologiche (anche perché nell'introduzione se ne occupò il sociologo Gianni Emilio Simonetti il quale prova a dare una spiegazione del fenomeno) poiché a Bertoncelli, che ricevette elogi e critiche in ugual misura per il suo lavoro, interessava fornire soltanto una propria visione del rock permettendosi persino di dare giudizi critici su alcuni dischi, pratica discutibile col senno di poi ma in quel tempo necessaria per fornire un quadro quando il più realistico e completo possibile sull'argomento. Dei molti giudizi, dettati in un capitolo in coda al volume, tra i consigli d'acquisto elargiti a piene mani, oggi alcuni fanno sorridere (gli album dei Cream e di Bruce Palmer - “Wheels of Fire” preferito a "Disraeli Gears" e l'inutile “The Circle is Complete”, assunto a capolavoro, per non citarne altri) mentre molti, al contrario, reggono bene il trascorrere del tempo.

E' il segno dei tempi pionieristici e audaci, senz'altro un modo per provare a fare un po' di chiarezza nel disordine di quel magma in cui ciascuno ne prendeva una parte per i propri interessi di bottega. Alludo ai giornali d'epoca (“Per voi giovani” e il meno banale “Ciao 2001”) attenti alle esigenze di ascolto e di consumo dei giovani come al mercato delle canzonette, promosso dalle etichette discografiche, e a quelli che producevano moda, nel tempo in cui soltanto in pochi effettivamente avevano coscienza sul serio delle ragioni del rock.


Tuttavia il clamore che ebbe questa pubblicazione fu enorme su di noi poiché per la prima volta si cominciava a ragionare sul valore del rock oltre il consumo con possibilità di accedere soprattutto nell'intimità di tutte quelle notizie riguardanti alcuni giganti della musica rock (tipo Beatles e Rolling Stones per esempio) cominciando a comprendere al contempo qualcosa di più su Frank Zappa per esempio da tutti citati ma poco conosciuto ai più, la West Coast dei Jefferson Airplan e dei Grateful Dead, i particolari voodoo del Jimi Hendrix elettrico, l'epocale Woodstock, la scena inglese dei sessanta, e anche di certe contaminazioni (Soft Machine con cenni alla scena di Canterbury) che unite allo sperimentalismo emergente stavano portando il rock oltre il guado, con fughe in avanti importanti che avrebbero arricchito di molto quel mondo (e il nostro bagaglio formativo) di nuovi suoni. 

La scena italiana, che nel 1973 era in pieno svolgimento, non ne esce affatto bene con critiche anche feroci (ritenuta dall'autore un “epilogo semiserio”) senza parlare poi del resto d' Europa (sferzante il giudizio senza appello sugli olandesi Focus) Riccardo Bertoncelli, nelle vesti di fustigatore, si assunse una responsabilità che il tempo gli darà ragione in gran parte, che tanta scuola farà in futuro. Ma rimane anche una valente lezione, un vademecum se vogliamo, un punto di riferimento per i futuri giornalisti del settore, mestiere che di lì a poco (leggi Gong, Muzak e, dopo il Punk del '77, anche Il Mucchio Selvaggio e Buscadero) molti intraprenderanno con profitto.

Un libro, che riletto oggi alla luce della vasta bibliografia esistente, pubblicata nel frattempo, con tutti i suoi pregi e le sue lacune, pur con tutti i suoi limiti esplorativi, resta un personale contributo dell'autore alla causa del rock, il primo senz'altro ad aver sdoganato il termine “Pop” rispetto a Rock, che gli ricordava, come racconta nell'incipit, giubbotti di pelle e brillantina, inadeguati per i tempi nuovi, dando così dignità ad una musica giovanile che, diventata protagonista, (“Il punto di partenza della musica in generale: l'esecuzione collettiva del culto e della danza, nel momento stesso in cui si è trovata ad esprimere, da un punto di vista semantico, la raison d'etre della propria solitudine e della comunicazione banalizzata.”, Simonetti) conquisterà il mondo come forse nessuno in fondo si aspettava. Almeno in queste proporzioni.

Luigi Ciavarella

Commenti

Post popolari in questo blog

"BARBARA" DI PREVERT, OVVERO L'AMORE AI TEMPI DELLA GUERRA.

PERDUTO AMOR ... OMAGGIO AL CANTAUTORE ADAMO.

"DURANTE TUTTO IL VIAGGIO LA NOSTALGIA NON SI E’ SEPARATA DA ME” , poesia di NAZIM HIKMET