MEZZO SECOLO SENZA JIMI HENDRIX.

 A cinquant'anni di distanza la musica del grande sciamano del rock è più viva che mai.


A cinquant'anni di distanza dalla sua morte, Jimi Hendrix rimane ancora un punto di riferimento fondamentale della storia della musica rock, anzi il suo nome brilla, oggi più che mai, anche nella considerazione dei nuovi musicisti di ultima generazione, per gli evidenti segni di modernità che la sua musica ha sempre comunicato.
Possiamo dire che Jimi Hendrix ha portato la musica rock al di là del guado. Il suo sperimentalismo, la sua ricerca hanno condotto il rock dritto nella maturità dei tempi nuovi con quei suoni peculiari, costruiti su chitarra elettrica, diventata un feticcio, uno strumento parlante, uno stile, un totem, in grado di trasmettere emozioni infinite.

Jimi Hendrix nasce in USA (a Seattle, dove riposa) da una famiglia povera e i suoi primi impegni sono costituiti in tante collaborazioni che lasceranno qualche segno nella sua formazione artistica (con Ike & Tina Turner, Little Richard, Isley Brothers, Albert King, etc.) ma la vera celebrità la otterrà in Inghilterra quando, scoperto in Usa da Chas Chandler degli Animals, si trasferirà in terra d'Albione. Siamo nel 1966 quando Jimi Hendrix incide il primo singolo Hey Joe, a cui faranno seguito The Wind Cries Mary e Purple Haze, accompagnati da Mitch Mitchell e Noel Redding (The Experience) con cui si farà conoscere tanto in Inghilterra quando nel resto d'Europa. Il primo album (Are You Experienced) arriva l'anno successivo, punto fermo della storia del rock con il quale, insieme all'incredibile performance al festival di Monterrey (dove si farà conoscere finalmente anche nel suo paese d'origine, gli Stati Uniti) manderanno alle stelle il suo nome. Ma il capolavoro lo scrive nel 1968 quando pubblica Electric Ladyland, chiamando a collaborare per questo lavoro i migliori musicisti del rock (Steve Windwood e Jack Casady su tutti). Il doppio album (peraltro con una raffigurazione in copertina di 50 donne nude, subito censurata) è il capolavoro perfetto dell'arte compositiva di Jimi Hendrix, con una versione allucinante di All Along The Whatchtower di Bob Dylan e una clamorosa sequenza di brani che elevano l'album tra i vertici assoluti del rock. 

Ancora oggi il (ri)ascolto è da brividi.

Dopo la fatica dei tantissimi concerti (leggendari) effettuati in giro per il mondo (anche in Italia nel 1968) e il continuo stress di cui è sottoposto, Jimi Hendrix si munisce di uno Studio di registrazioni personale (l'avveniristico ElectricLady Studios), quindi il sollievo di un po' di ordine e tranquillità. Gli studi sono situati nel cuore di New York, diventando così la sua base creativa attraverso i quali può sperimentare ogni cosa e dove troveranno, dopo la sua morte, una impressionante quantità di nastri registrati e tracce live di incredibile valore. Una quantità di materiale che verrà sfruttata dal cinico Alan Douglas, l'ultimo manager del celebre chitarrista, in maniera indegna sino a quando la famiglia non si approprierà dei diritti, vent'anni dopo, ordinando tutto il catalogo sotto la guida di Eddie Kramer, il vecchio ingegnere del suono degli Studi newyorchesi.

Il risultato di tanta cura è notevole e la musica di Jimi Hendrix può brillare di nuovo nel firmamento della nuova era, come egli stesso annunciò, poco prima di morire, attraverso l'idea di un album (pubblicato molti anni dopo dal titolo The First Ray Of The New Rising Sun) che diventasse la nuova guida della sua musica. Non ci sarà futuro per lui poiché il 18 settembre 1970, esattamente 50 anni fa, morirà al Samarkand, un alberghetto a nord di Londra, ucciso dal suo vomito e dalle poche chiare circostanze che hanno da sempre accompagnato quel fatto.

Luigi Ciavarella




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