ROBERT ZIMMERMAN IN ARTE BOB DYLAN.


E' stato un mito anzi la maschera cult più autorevole che più di tutte ha saputo plasmare una parte del secolo scorso con la sua musica e i suoi testi passati attraverso la cruna di tutte le sue urgenze comunicative. Momenti che hanno puntellato la vita artistica dell’ex menestrello di Duluth, cosi indicato alle origini della sua storia quando, partito dal quel piccolo paese del Minnesota, alla fine degli anni 50, approda a New York, al cospetto del Greenwich Village, in quel tempo capitale della canzone di protesta americana, col preciso scopo di raggiungere il suo mito, quel Woodie Guthrie che sarà il lume tutelare della sua musica, la fonte in cui Robert Zimmerman in arte Bob Dylan vi intingerà la penna per scrivere a tinte forti l’America rurale, anticonformista, persa per strada a rincorrere i suoi miti.

Un percorso interpretato con acume letterario cosi profondo come egli ha fatto  è possibile invece raccontarlo per sommi capi a patto che si voglia sottolineare la misura in cui la sua grandezza sia andata di pari passo con l’evoluzione stessa della musica cantautorale americana. Una continuità avvenuta nel solco della tradizione folk, cominciata in sordina e subito, per il carattere forte del personaggio, obbligata ad esporsi per far crescere un genere, persino modernizzarlo senza però mai travolgerlo.

Le prevaricazioni del potere delle lobby, la guerra del Vietnam quindi il pacifismo e la protesta, la giustizia sociale, la politica, insomma i miti dell’America che Bob Dylan racconta a chiare lettere col mezzo che gli è più congeniale: la canzone, attraverso una cronaca asciutta, puntigliosa che riesce a colpire in profondità le corde più sensibili dell’opinione pubblica americana. E lo fa nello stesso istante in cui Martin Luther King rivela al mondo il suo sogno di speranza, la sua battaglia per i diritti civili d'America (1963).

In questo contesto prende forma la sua musica che egli vuole portare sulla scena del mondo e per farlo presto non saranno più sufficienti le sole chitarra e armonica. 

Lui che ha straordinarie capacità di osservazioni, intuisce i tempi che mutano scrivendo brani che sono scalfiti nel marmo della storia dell’umanità: Blowin’ in the Wind, Masters of War e A Hard Rain’s a-Gonna Fall, presenti tutti nell’album che lo hanno reso celebre in tutto il mondo,The Freewheelin’, l'inizio di tutto.  

Dopo quell’album Bob Dylan pensa di allargare gli spazi comunicativi provando a superare i limiti imposti dal folk tradizionale. La rottura col passato si consuma in modo netto a Newport nel 1965 durante l'annuale Festival Folk quando imbraccia la chitarra elettrica, un affronto eretico insopportabile per quel popolo conservatore, che lo copre di insulti e lo costringe a lasciare la scena, ma ormai la strada era tracciata. E' una svolta epocale. Il cantautore americano ne ha piena consapevolezza, d'ora in avanti non rappresenterà nient’altro che se stesso sulla scena musicale del mondo.

Dopo The Freewheelin’ ce ne saranno altri di uguale spessore (i mitici The Times they are a- Changin’ e Bringing it all Back Home, primi segnali di un cambiamento che produrrà inaspettati capolavori) sino a rendere plausibile il passaggio definitivo al rock blues, adeguando in questo modo le sue composizioni ai tempi nuovi e alle sue nuove urgenze espressive.

D'altra parte il carattere del personaggio ha sempre posseduto una natura anarcoidea, a tratti persino impulsiva, mai propenso ad assecondare istanze che non fossero bisogni personali di stigmatizzare una denuncia, fotografare un evento, raccontare una storia. E allora il Bob Dylan che ci piace sottolineare è quello che musicalmente regala al mondo del rock uno straordinario trittico pubblicato in una manciata di mesi: Bringing It All Back Home/Highway 61 Revisited/Blonde On Blonde, pubblicati nel biennio 65/66, l’ultimo dei quali considerato uno dei suoi capolavori più conosciuti.

In quel doppio album vi suonano i migliori musicisti rock, tra cui coloro che avrebbero formato la Band, la formazione che avrà in seguito un ruolo importante in alcuni album del cantautore americano.

Vi saranno altri album memorabili, momenti di svolta, ma uno spaventoso incidente di moto lo terrà fermo per diverso tempo (ma a Woodstock, nel luogo della convalescenza, avrà modo di registrare insieme alla Band, il suo gruppo, quei nastri che la Columbia pubblicherà diversi anni dopo col titolo The Basement Tapes), salvo poi tornare nel 1968 con un album di brani asciutti (John Westley Harding) tra cui la famosa All Along The Watchtower, che Jimi Hendrix la renderà immortale molto più del suo autore, in chiara controtendenza rispetto alla musica dominante in quel momento, seguito l’anno successivo da Nashville Skyline di impostazione country, (indimenticabili il duetto con Johnny Cash - Girl From The North Country -  e la stupenda Lay Lady Lay) nello stesso istante in cui i Byrds con Sweetheart of the Rodeo, che quattro anni prima avevano portato al successo una versione elettrica di Mr. Tambourine Man, stavano "inventando" il Country Rock, che tanto successo avrà negli USA almeno sino alla metà dei 70.

Il Bob Dylan dei settanta sarà un uomo tormentato dai problemi spirituali, crisi mistiche e personali che si rifletteranno sulla sua musica, che non avrà più quella impronta dirompente degli inizi tuttavia oltre ai citati Basement Tapes, vanno sottolineati almeno un paio di album in studio e un album live (Before The Flood), accompagnato dalla famosa Band, ma sopratutto quel capolavoro di Blood on the Tracks che resta uno delle pietre miliari della sua discografia, oltre alla partecipazione come attore in un film di Sam Peckimpath in cui trova il tempo di collaborare alla colonna sonora (Pat Garrett e Billy the Kid).

Passato indenne negli ottanta con qualche disco eccellente (Infidels scritto sui temi della religione con il contributo di Mark Knopfler dei Dire Straits) ma anche con svogliati e pallidi ricordi del passato, chiudendo però in bellezza il decennio con Oh Mercy grazie alla produzione di Daniel Lanois, registrato nel sud degli States in un clima torrido ma congeniale.

Anche nei novanta avvengono alti e bassi (brilla Time Out Of Mind del 1997 in cui Dylan interpreta al meglio un album dalle visioni cupe, sempre sostenuto da Lanois) mentre l’anno successivo vengono tirati fuori dai cassetti i nastri del memorabile concerto che egli tenne nel 1966 all’Albert Hall di Londra, l’oggetto misterioso considerato, non a torto, come il suo momento migliore dal vivo anche se in realtà il concerto pubblicato fu quello di Manchester.

Dopo i tanti premi ricevuti alla carriera, (tra cui il più importante il Nobel nel 2016) Bob Dylan nato Robert Zimmermen nella piccola cittadina di Duluth nel Minnesota nel 1941 da una ricca famiglia ebrea di commercianti, pare si goda, dall’alto dei suoi anni vissuti da protagonista sulla scena musicale del mondo, il brusio sottostante, con lo stesso sguardo sornione dei primi tempi, quando sottobraccio a Suzie Rotolo, sua prima fiamma, camminava infreddolito nelle vie del Greenwich Village di New York, cosi come Don Hunstein l'aveva immortalato sulla copertina del suo disco più famoso, The Freewheelin’ del 1963.

LUIGUI CIAVARELLA

 

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