SETTE DISCHI PER SETTE GIORNI.



Quali album porterei con me nel caso dovessi assentarmi lontano da casa per vivere sette giorni in un'isola deserta?

Un quesito che richiede una risposta secca: sette titoli per sette giorni, uno al giorno, da riascoltare nella solitudine più intima, possibilmente su di una isola deserta molto distante dalla terraferma, lontano dalle tue abitudini, magari all'interno di una casetta munita di pochi confort (tuttavia niente TV né cellulare) il cui profilo guarda il mare tempestoso d'inverno. Un'atmosfera di completa solitudine che induce alla riflessione, fa emergere i ricordi, magari favorisce pure un esame di coscienza. Tutto ciò in una cornice di isolamento volontario il cui scopo dev'essere la seduzione della musica attraverso il riascolto di quei dischi, quelle canzoni e quei suoni che hanno lasciato un segno profondo nella tua vita, segnando ogni momento della tua crescita.

Scelta difficilissima come si può immaginare direi ardua, ma questa sfida estrema può fornire indicazioni utili sul potere che possiedono certe melodie e certi suoni sulla vita di ciascuno, almeno tra quelli più sensibili e aperti a questo genere di approccio.   

Comincerei dal Best Of dei Bee Gees poiché fu il primo LP (long playing) che ascoltai in vita mia per intero. Penso a Colmar (Francia) e come quelle canzoni melodiche, delicate, penetranti (cito Holiday, I Started A Joke e First Of May sopratutto) riescano ancora a regalarmi lampi di emozioni ad ogni riascolto. Serviranno per alleviare la mia solitudine durante le serate fredde accanto al calore di un camino acceso. Poi Imagine di John Lennon per tutti quei ricordi collegati al disco, che rivedo come in un film. Brani come Imagine, Jealous Guy, Oh My Love, la polemica Gimme Some Truth o la tenera dedica che John Lennon fece a sua moglie Yoko Ono (Oh Yoko), sono canzoni che fanno tutt'uno con un album di ricordi indimenticabili, da ascoltare in piedi davanti al mare in burrasca lasciandoti cullare da quelle melodie senza tempo.

Per chiudere la prima fase un altro album a cui sono molto legato che mi riporta tutte le volte che lo riascolto in terre lontane, il secondo volume dei Led Zeppelin. Fu per me la scoperta dell'hard/blues, la voce in falsetto di Robert Plant ma sopratutto la potenza del suono della chitarra elettrica di Jimmy Page che dettò le regole del loro sound. Piace ricordare What Is and What Should Never Be il secondo brano in scaletta che inizia con una andatura lenta salvo impennarsi poi nel ritornello che tanto mi colpì allora. Da ascoltare il primo pomeriggio durante la lettura di qualche buon libro di genere noir assaporando magari nel contempo un buon brandy vicino al tepore del camino, tendendo ogni tanto l'orecchio verso l'esterno per udire la furia del vento che fa ballare le imposte al ritmo del rock n roll, confuse con le note di Whole Lotta Love.

Nel 1977 arriva il Punk e l'Inghilterra diventa una bolgia di suoni sporchi, grezzi, e tutto ciò non può lasciarmi indifferente sopratutto perché fu grazie a questa nuova ondata che io rinasco musicalmente dalle ceneri. Scelgo l'album di esordio del '77 dei Clash, poiché fu vera adrenalina e l'apripista di un genere nuovo che incendiò prima Londra e poi il resto d'Europa. Il pezzo potrà servirmi in quei momenti della giornata in cui si renda necessario una robusta dose di energia.

Agli inizi degli anni ottanta quando nella California nascono i primi germogli del cosiddetto Paysley Underground (termine coniata da uno di loro) furono pochi coloro che se ne accorsero. Il richiamo era agli anni sessanta, al garage, alla musica psichedelica, ma filtrato attraverso l'esperienza del punk, con risultati eccellenti che raggiungono anche aree fuori confine. Tra i tanti dischi usciti in quel periodo (1982-1986), di cui facemmo incetta, ce n'è uno che merita un riascolto. Si tratta di Medicine Show dei Dream Syndicate del 1984, che possiede un suono tra i più iconici del periodo, con ballate elettriche che ti tagliano il respiro grazie sopratutto alla voce di Steve Wynn, il leader della formazione. Da ascoltare durante il pranzo, tra un bicchiere di birra e un piatto di bucatini fumanti alla amatriciana.

Ancora un album legato in qualche modo al Paysley Underground  per alcune affinità stilistiche. Si tratta dell'inarrivabile Automatic For The People dei REM, uno dei capolavori della storia della musica rock, che ho accolto nel mio cuore sin dalla sua apparizione. Album prevalentemente acustico, meditativo, malinconico, i REM scrivono, con l'aiuto di John Paul Jones (l'ex bassista dei Led Zeppelin) un lavoro superbo. Da ascoltare in quei momenti della giornata quando sopraggiungono la tristezza, lo sconforto, quando il peso della solitudine si manifesta maggiormente.

L'ultimo, ma solo in ordine temporale, è Nevermind dei Nirvana di Kurt Cobain che fu una folgore scagliata dal cielo in un momento in cui il rock prova una nuova ripartenza (1991). Un album che ancora oggi conserva immutati tutti quei tratti che lo resero celebre allora, una freschezza e una energia sempre presenti e sopratutto quella scia di brani killer che se ascoltati l'uno dopo l'altro possono portarti con la mente al delirio. Un album imprescindibile per me da riascoltare in quei momenti della giornata quando qualche raggio di sole, bucando le nuvole, raggiunge il davanzale della finestra proprio nel momento in cui mi accingo a stappare un'altra bottiglia di Bourbon.

 

GLI ALBUM CITATI :

1. Bee Gees (Best volume one, 1969)

2. John Lennon (Imagine, 1971)  

3. Led Zeppelin (II, 1969)

4. Clash (1977)

5. The Dream Syndicate (Medicine Show, 1984)

6. REM (Automatic For The People, 1992)

7. Nirvana (Nevermind, 1991)    

LUIGI CIAVARELLA

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