I PINK FLOYD DI UMMAGUMMA, DA ALBUM DI TRANSIZIONE A PIETRA MILIARE DEL ROCK.

 



Scoprii “Ummagumma” tardi rispetto alla sua data di pubblicazione (1969), prima ci furono “Meddle” e “Atom Earth Mother”, i due album usciti nei primi anni settanta, a catturare la mia attenzione. Quando lo ascoltai (nel 1972 credo) i Pink Floyd, avevano già pubblicato, prima di "Ummagumma", altri tre lavori senza che io ne fossi a conoscenza, men che mai potevo avere idea dell'esperienza psichedelica del debutto avuta con Syd Barrett

Per me la storia dei Pink Floyd cominciava con "Meddle" dalla strana copertina, indefinibile, (l'interno di un orecchio poi abbiamo saputo) e, subito dopo, attraverso lo scatto di Lullubelle III, la rassicurante mucca frisone di "Atom Earth Mother" posta in bella vista sulla copertina del disco ideata anche questa dal creativo Storm Thorgenson, che colpì molto l'immaginazione di non poche persone.

I Pink Floyd, ben saldi nelle mani di Roger Waters, con quei due album erano riusciti a compiere la svolta necessaria verso sonorità più personali, non senza fatica, approdando ad un suono che molti definiranno spaziale/sperimentale o pop progressivo e che avrà uno sviluppo regolare sino al successo mondiale di “The Dark Side Of The Moon” nel 1973, considerato il vertice assoluto della loro ricerca sonora.

Però nel 1969 quando i Pink Floyd cominciano a programmare la registrazione di un nuovo album la formazione non aveva affatto le idee chiare. Anzi era molto confusa e insicura. La radice psichedelica, che aveva dato loro visibilità durante tutto il periodo barrettiano, in quel fine decennio sopravviveva a stenti soltanto in picccole comunità abitate da hippie senza tempo. E poi quel tipo di psichedelia, floreale, ingenua, colorata, ormai aveva fatto il suo tempo, serviva guardare al futuro e i Pink Floyd senza un lume tutelare vero faticavano non poco a trovare una via d'uscita. Roger Waters che aveva cacciato Syd Barrett, cominciò a pentirsene, forse lo si poteva recuperare, pensò, ma ormai era fatta.

Quando si trattò di pianificare “Ummagumma” il quartetto scelse così alcuni suoi brani classici registrati live tra Birmingham e Manchester in quell'anno (Astronomy Domine, Careful With That Axe, Eugene, etc.) e per il secondo album in studio prese la decisione di comporre in parti uguali. Così dall'iniziale Sysyphus di Richard Wright, suddiviso in quattro parti, a Grantchester Meadons, etc. di Roger Waters, “The Narrow Way” in tre parti di David Gilmour, l'unico membro che si trovò spaesato nel comporre materiale nuovo, sino al Nick Mason del Grand Vizier's, il secondo disco trova un suo indubbio equilibrio e un senso logico che il tempo, nonostante gli iniziali dubbi della critica, darà loro ragione.

Il doppio album, uscito proprio in questi giorni di 52 anni fa, nonostante il disappunto degli stessi musicisti, il cui titolo in slang parla di sesso, - che il regista Vincent Minelli farà loro causa per via della presenza dell'album “Gigi” sulla copertina - , oggi riascoltato dopo tanti anni, rivela ancora tutto il suo fascino e la sua bellezza, soprattutto grazie alle continue masterizzazioni ricevute nell'era digitale, facendo emergere in ogni occasione tutti i particolari di un opera che, seppure nelle intenzioni dei protagonisti doveva essere un lavoro di transizioni, col tempo si è rivelato una pietra miliare della musica rock.

Luigi Ciavarella








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