QUEL FRENETICO CITTADINO DI CIRO IANNACONE.
Qualche impressione tardiva sul nostro più amato cantautore
Un Ciro Iannacone capellone con la chitarra imbracciata - seduto su
una selva di grattacieli anonimi e attorniato da piccoli ominidi di forma
robotica – è l’icona che ci è stata tramandata dal lontano 1998, in chiusura di
secolo, quando il cantautore sammarchese comincia la sua avventura nel campo
della musica pop cantautorale.
In verità il suo nome, almeno
nei nostri ambienti, circolava già prima ancora dell’ uscita dell’album. Addirittura
qualche canzone, poi finita ad alimentare la scaletta del primo album, era già
conosciuta tra amici e sodali e la percezione che tutti avvertivamo è che fosse
nato in paese il profilo di un vero cantautore. Insomma un talento musicale
autentico, differente dagli altri che lo hanno preceduto, sicuramente moderno,
in grado di scrivere ed interpretare belle canzoni.
Quando uscì “Frenetico cittadino”, nonostante il
titolo un po’ curioso ed inusuale, (forse anche per questo) il lavoro ottenne inevitabilmente
da subito, in paese e altrove, una accoglienza strepitosa. Il termine
“cittadino” poteva anche destare qualche curiosità e persino sospettare qualche
ingenuità ma assicurava a tutti in quel momento un piacevole senso di novità.
Non vi è dubbio che il compact
disc fosse stato concepito per inserirsi nel flusso della eterogenea scena
musicale contemporanea, prova ne è l’estrema cura con cui è stato prodotto. D’altra
parte le condizioni vi erano tutte: belle canzoni ispirate, testi adeguati,
arrangiamenti sopraffini, insomma un “prodotto” perfetto. Infatti sia gli
arrangiamenti, affidati ad un manipolo di esperti musicisti guidati da Agostino
Sibillo, sia i contenuti testuali, scritti dal cantautore, viaggiano
perfettamente in sintonia, dando così l’impressione di trovarci di fronte ad un
lavoro impeccabile sotto ogni aspetto. Era nato un talento e le aspettative,
dietro quello slancio emotivo, avevano provocato più di una speranza. Se
l’album non è riuscito ad ottenere certi risultati in campo artistico, intimamente
auspicati da tutti, le cause vanno cercate altrove e non nella qualità del
lavoro, che rimane, ancora oggi a distanza di oltre vent’anni dalla uscita, uno
dei dischi più affascinanti usciti da queste parti. Riascoltandolo dopo tanto
tempo e rimanerne colpiti come se fosse uscito appena l’altro ieri è segno che
ci troviamo di fronte ad un vero capolavoro. Un gioiello unico nel suo genere. La
stessa sensazione che si respira anche durante l’ascolto del suo ultimo lavoro,
“Retratte Pajesane”, uscito qualche mese
fa, dove Ciro Iannacone interpreta con sentimenti di rara efficacia alcuni
testi dialettali scritti dal poeta Antonio
Villani. Anche in questo caso la generosità, la sensibilità e il talento dell’artista
si manifestano magnificamente attraverso i contenuti di un lavoro, senz’altro
più maturo e meditato, che custodisce intatto tutto il suo fascino emotivo,
l’impegno e la passione che da sempre caratterizzano la sua musica, le
parole, il suo stile e tutto il mondo che gli appartiene.
Due poli che si uniscono idealmente, due opere importanti per il nostro microcosmo.
Luigi
Ciavarella.
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