“IL POTERE DEI VINTI”: E’ UN ROMANZO VERO IL NUOVO GRANDE LIBRO DI PINO APRILE.
Il vento, l’odore del mare e del legno umido
delle barche, la musica… idee, storie, i vincitori e (soprattutto) i vinti, le
Puglie, il resto del mondo, un microcosmo marino come quella palla di vetro con
quei piccoli pesci imprigionati dentro (“hanno chiesto di entrarci? Hanno mai
chiesto di uscirne?”). Potremmo sintetizzare in queste parole il nuovo libro di
Pino Aprile, un libro nuovo e diverso da quelli a cui ci ha abituati da anni
perché si tratta non di un saggio ma di un romanzo: “Il potere dei vinti”. Lo
stile di Pino (uno dei motivi del suo grande successo) è che da sempre anche i
suoi saggi e i suoi articoli sono scritti come in un dialogo, un dialogo
appassionato e appassionante con i lettori e con le fonti e gli altri autori
(tanti, spesso ignorati da chi finge solo di leggere i libri di Aprile), ma qui
si tratta di un romanzo vero e proprio, ricco di spunti poetici, ironici e
anche politici e filosofici. E “nuovo” è l’aggettivo adatto perché, oltre a
essere stato pubblicato da pochi giorni, è stato pubblicato pochi mesi dopo
l’uscita del suo saggio “L’Italia è finita” anche contro le “regole” del
mercato editoriale. Eppure, anche nelle differenze profonde dei due generi,
tutto torna in quello che scrive Pino Aprile e tutto, in qualche modo, si
collega in tutti i libri che ha scritto: da “Il mare minore” (il libro sui
velisti che sognano di partire) a “Mare, uomini e passione” fino, ovviamente,
al best-seller “Terroni” e ai libri per e sui meridionali (i “vinti” per
antonomasia nella storia italiana). E così il bretone Isio è il protagonista di
tutte le vicende raccontate nel libro, il perno intorno al quale girano le
altre storie “secondarie” ma fino ad un certo punto e che si intrecciano con
risvolti inaspettati come in giallo vero e un giallo esistenziale, tra viaggi
sognati e realizzati, oggetti e strumenti che sembrano magici come quella
macchina a forma di Girasole (luce e musica, i riferimenti essenziali per ogni
vita), gli amori vissuti e quelli rimpianti, la rabbia dentro per Lisette e la
stupefatta ammirazione per Ariko, la donna capace di “avvertire il dolore
nascosto degli altri”, ricordi laceranti e ricordi dolci. E ti accorgi presto
che il vero protagonista non è Isio ma il Tempo, in tutti i suoi risvolti e “il
futuro è il posto delle conseguenze”. E la sfida di Isio, prima nella
solitudine e poi con il mare (“odiava se stesso, la barca, la bestia, il Capo,
la vita e la memoria; bestemmiava, guaiva. Ma andava”), rivela l’altro vero
protagonista della storia: il mare e quel Canale di Otranto, Finisterrae, la
fine della terra, il Mediterraneo e l’incontro tra acque e culture di Adriatico
e Ionico. “Così, si era dato un compito, arbitrario quanto qualsiasi altro:
indagare la linea dove lo Jonio incontra l’Adriatico. «A che serve?», gli aveva
chiesto Pancrazio, il pescatore-ormeggiatore: «A niente», era stata la risposta,
«a me». «Capisco», borbottò il vecchio. E capiva davvero”. E anche Dio o,
meglio, la ricerca di Dio, con i templi che diventano chiese e santuari, come
avviene spesso dalla nostre parti, è un viaggio, un viaggio spesso senza
ritorno: “Se cancelli il futuro, sparisce la necessità del paradiso. Su questa
roccia, la memoria non mette radici: la gente viene, si innamora di un luogo
bello, pregno di perduti richiami e antichi segni. Avverte, non si spiega,
s’incanta, riparte e lascia una nuova assenza. Anche lei se ne andrà”. Così
anche la memoria è memoria fatta a strati, sia quando rivela la storia della
“sventurata bellezza” di Delia, morta millenni fa senza aver fatto nascere il
suo bambino, sotto la chiesa di Santa Maria di Agnano ad Ostuni, che quando
rivela, pagina dopo pagina, una dopo l’altra, le (vere) storie di tutti i
protagonisti. E come sfondo, su tutto, i luoghi, i luoghi della nostra terra, i
luoghi della nostra infanzia e dei nostri sogni da adulti (per non dire
“vecchi” con il tempo che avanza anche per noi): “Attorno, ulivi, mandorli,
fichi d’India, agrumi, rocce calcaree affioranti […]. Nella macchia
mediterranea alle spalle della masseria, una coppia di falchi padroneggiava lo
spazio, indifferente alla presenza umana… Qua vivi dieci anni di più, perché
tutto rallenta, pure il tempo. Vieni a morirci, però piano (nessuna poesia:
riferiva un fatto. Pancrazio era un uomo pratico)”. E in questo libro ci trovi,
com’era normale che fosse per uno scrittore come Pino Aprile, anche l’amore per
la storia e, in fondo, per la storia più vicina a noi, come quando racconta i
misteri della tessitura dei muretti in pietra (“Quanti secoli e quanta gente,
per sminuzzare milioni di ettari con linee di pietra? Questo mi fa sentire
piccola, non la tomba di Cheope”), le certezze di quei muri che prima o poi
crolleranno (“non conta quanto siano grandi e quanto durino; sono eretti da
chi, giunto alla vetta, sa che ogni ulteriore passo sarà in discesa. Per quanto
potente sia, chi alza i muri ha paura”) fino alla sintesi-cuore di tutto il
libro: il potere dei vinti (“Tutti vinti, allora, anche i vincitori… Edeniso si
limitò a indicare il putridume, con un gesto del capo. «Prima o poi…»… Perché
prima o poi, il lamento del vinto diviene canto di guerra”). “Nell’Iliade,
Omero parteggia per Ettore, che affronta Achille sapendo di perdere. Ma gli
achei vittoriosi scomparvero dalla storia e la civiltà dei vinti, con Enea,
rifece il mondo” e questa affermazione è anche speranza per chi, nella storia
dei vinti, non sembra trovare spiragli per le speranze come quelle riposte nel
piccolo Pancrazio che spesso fuggiva dal mondo intorno a lui: “Se lo chiamavi,
non rispondeva: andava nel suo futuro, si convinse Isio… Il calore della
piccola mano, nella sua, gli diede emozione, per quell’affidarsi totalmente che
hanno i bambini: porgono la mano e ti consegnano la vita. Credi di condurli e
sono loro che, quale che sia la zavorra del tuo passato, portano te nel tempo
venturo. Perché un bambino non ha altro posto dove andare”. In questo libro,
allora, c’è la vita di Pino e c’è anche la vita di tutti noi. Lo leggi, in qualche
notte (di notte è meglio) e vuoi rileggerlo, forse, per far ricominciare il
viaggio, perché (è una speranza e un augurio, anche la nostra speranza e il
nostro augurio) “solo ai vinti è dato di ricominciare”.
Gennaro
De Crescenzo
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LO SCRITTORE PINO APRILE. |
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