I DOORS DI JIM MORRISON : FU VERA GLORIA?
Come spesso accade
ad ogni uscita in edicola riguardo collezioni di cd importanti del rock vi nascono discussioni intorno al tema: cosa abbiano rappresentato e cosa
possono raccontarci oggi a distanza di tanto tempo alcuni classici del rock
ritornati a nuova vita? La discussione è aperta soprattutto sui social dove
questi argomenti prendono vita con assoluta genuinità, dove pareri strettamente
personali si scontrano con la solidità della storia che si è già espressa sui
contenuti e non ha bisogno di
ulteriori ragguagli.
E’ successo in
passato e succederà sempre poiché sono queste le strade che percorre la
grande distribuzione in edicola riguardo i prodotti musicali che sono senza dubbio di assoluto interesse
generale. Ci son passati tutti: Bob Dylan, Dire Straits, Jimi Hendrix, etc.,
rimasterizzati, con emissioni di inediti, in accattivanti confezioni dove
diventa quasi impossibile rinunciarvi, soprattutto per coloro che, come me,
hanno visto nascere quel disco (in vinile), ne sono stati colpiti e
vogliono rievocare quei ricordi. Allora diventa difficile confrontarsi con le
nuove generazioni che quella musica l’hanno ereditata dai padri (o dai nonni)
senza averla vista nascere e ne tanto meno crescere, con tutto il carico di errori,
i ripensamenti che ci sono stati fino a quando non è stata data una valenza
definitiva più o meno condivisa all’interno del mobilissimo mondo della critica
rock.
Rimettere in discussione
punti fermi acquisiti nel tempo comporta una conoscenza assoluta del fenomeno e
uno spirito critico d’ineguagliabile purezza che significa considerare il luogo
e il tempo che hanno determinato quel suono rispetto ad un altro, le
motivazioni ideologiche che spesso sono state dietro ad ogni evento o le
difficoltà che ciascuno ha dovuto affrontare per affermare la propria idea di
musica. Tutto ciò è un esercizio che non tutti sono disponibili a fare,
specialmente nei tempi odierni dove tutto scorre alla velocità della luce e
tutti ne siamo travolti.
Il caso della
discografia dei Doors ne è
l’emblematica conferma ai quesiti appena esposti. La domanda che ci si pone,
sempre sui social, è la seguente: i Doors, musicalmente parlando, quando hanno
inciso nella storia del rock e, prima di tutto, quando i loro dischi sono stati
fondamentali artisticamente in rapporto al proprio tempo? Quando abbia influito
Jim Morrison, l’istrionico leader
del gruppo e, soprattutto, quale eredità ci hanno lasciato?
La loro discografia
comprende sei album, un live leggendario (Absolutely
Live) e un paio di titoli post Morrison trascurabili. Riguarda le emissioni
viniliche live ufficiali, nonostante siano state pubblicate dopo la scomparsa del re lucertola, possono essere considerati
parte integrante della discografia del gruppo. Infatti si tratta di due
ulteriori documenti sonori di primissimo ordine: Alive She Cried pubblicato nel 1983 e Live At The Hollywood Bowl nel 1987, testimonianze live che, unite
al citato Absolutely Live, formano un trittico di cui è difficile
rinunciarvi.
Il primo album
ufficiale, pubblicato nell’anno cruciale del rock, 1967, rappresenta uno degli
esordi più folgoranti del rock. Alla pari di Jimi Hendrix, Velvet Underground e
– riguardo l’Inghilterra – il primo Pink Floyd e il noto Sgt. Pepper’s dei
Beatles, i Doors danno vita un nuovo corso nell’ambito del rock più esposto al
blues. I contenuti del disco vanno da Break
On Through sino alla leggendaria The
End con un testo incentrato sul mito di Edipo, passando per almeno altri
tre classici come Light My Fire (che
fu un successo clamoroso), Back Door Man
e Alabama Song, citando Willy Dixon e Kurt Weill. Con il successivo, pubblicato lo stesso anno (Strange Day), i Doors di Jim Morrison, Ray Manzarek, Robby Krieger e John Desmore, spiegano compiutamente la loro visione del rock
attraverso un pugno di canzoni nuove, ma di minore impatto, che prendono dalla
psichedelica, dal blues e da una certa letteratura, sempre presente nei testi
grazie ad un Morrison sempre molto ispirato, ciò che serve per imbastire un ottimo
disco. Già con Waiting For The Sun, però, la band di Los Angeles si
rivolge verso un tipo di musica più maistream
allontanandosi dal rock blues delle origini. Sullo stesso piano se non peggio il
loro quarto dal titolo The Soft Parade
dove tutto sembra virare verso un pop di tendenza, riscuotendo molto successo
ma perdendo l’innocenza degli inizi. D’altra parte i loro concerti che erano
stati veri set incendiari, con provocazioni e quant’altro, contribuendo non poco a renderli leggendari,
agli inizi dei settanta si ripetono stancamente e il gruppo sembra subire una
certa crisi d’immagine. Tuttavia il disco Morrison
Hotel, uscito agli inizi del decennio, ispirato dal rock blues dei
bassifondi, riesce ad ottenere un suono più compatto ma sono gli ultimi fuochi
poiché come si sa in concomitanza con l’uscita del loro ultimo disco di studio,
LA Woman, Jim Morrison esce di scena
in modo drammatico. Il re lucertola, viene trovato morto in una stanza d’hotel di Parigi dove si era rifugiato
per sfuggire ai propri fantasmi che lo stavano perseguitando.
Luigi Ciavarella
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