CESAR VALLEJO, IL PIU' GRANDE POETA PERUVIANO DEL NOVECENTO.
Era domenica
Era
domenica nelle chiare orecchie del mio asino,
del mio asino
peruviano in Perù (scusate la tristezza).
Ma oggi sono già le
undici alla mia esperienza personale,
esperienza di un solo
occhio, inchiodato in pieno petto,
di una sola asineria,
inchiodata in pieno petto,
di una sola ecatombe, inchiodata in
pieno petto.
È
così che rivedo le colline ritratte della mia terra,
ricche in
asini, figli di asini, genitori a venire,
che ritornano già
dipinte di credenze,
colline orizzontali dei miei dolori.
Sulla
sua statua, di spada,
Voltaire incrocia la sua cappa e guarda il
piedistallo,
però il sole mi penetra e caccia dai miei
incisivi
un numero crescente di corpi inorganici.
E
sogno allora di una pietra
verdastra, diciassette,
roccia
numerale che ho dimenticato,
suono di anni nel rumore di ago del
mio braccio,
pioggia e sole in Europa, e come tossisco! come
vivo!
come mi fanno male i capelli a presagire i secoli
settimanali
e anche, per contraccolpo, il mio ciclo
microbico,
voglio dire la mia tremante, patriottica pettinatura!
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