GLI AVVOLTOI: STORIA DI UN COMPLESSO MAI NATO.



Lo strano incontro di quattro ragazzini col Maestro Tonino Lombardozzi.

TONINO LOMBARDOZZI
La prima volta che incontrai il Maestro Tonino Lombardozzi fu nel 1968, spinto, insieme ad altri tre amici, dalla irresistibile, impellente necessità di imparare a suonare uno strumento musicale per imbastire un complesso. L'urgenza era dettata dal momento storico che a noi ci parve di vivere. Vi erano complessi che si stavano formando in quantità industriale in qualsiasi parte d'Italia e noi non volevamo essere da meno. Lo stesso paesino nostro ne contava un buon numero. Non volevamo sopratutto perdere questo treno per la celebrità. Una urgenza incontenibile, parossistica, ci invase che cercammo di mettere a frutto cercando colui che, secondo noi, avrebbe potuto aiutarci: il Maestro Tonino Lombardozzi, insegnante di musica, molto noto in paese per la serietà e il rigore con cui svolgeva il suo compito di educatore.

Fu così che una mattina, armati di entusiasmo, e con tutta l'incoscienza degli adolescenti, ci recammo presso l'abitazione di Tonino Lombardozzi, consapevoli del fatto che lui ci avrebbe insegnato a suonare, dedicandoci un po' del suo tempo prezioso. 

Quando suonammo alla sua porta egli ci aprì accogliendoci con un sorriso smagliante. Fu la prima cosa che ci colpì: il suo sorriso plateale e seducente. Il Maestro indossava una giacca da camera che gli dava un tono signorile ed autorevole. Nonostante le apparenze però non ci fu alcuna distanza tra noi. Anzi egli sembrò piuttosto incuriosito della nostra visita. Anche se ne aveva immaginato il motivo ci ascoltò con molto interesse. Fu Pasquale comunque, la persona tra noi più aperta, a chiedergli a bruciapelo il motivo di quella irruzione inaspettata: insomma volevamo imparare a suonare gli strumenti necessari per imbastire un complesso musicale: chitarra, basso, organo e batteria. Ci sembrava una richiesta da poco, non molto impegnativa per un musicista del suo calibro abituato a insegnare ben altro. D'altronde le canzoni che volevamo eseguire erano quelle che ci avrebbe dettato la moda. Semplici e facili. Il Maestro ci ascoltò notando il nostro entusiasmo e, soprattutto, la nostra impazienza e ci assicurò, con uno di quei sorrisi sornioni che avrebbero conquistato chiunque, che ci avrebbe dato una mano dettandoci le sue condizioni. Prima dovete imparare il solfeggio, ci avvertì, poi passeremo ai vari strumenti. Il solfeggio non l'avevamo messo in conto. E quanto tempo occorre? Mah, rispose lui, almeno un annetto per il solfeggio e poi valuteremo se continuare. Un gelo ci investì in quel momento neanche fossimo entrati di colpo un una cella frigorifero. Un anno di solfeggio e poi? Diciamo che in tre anni riuscirete a cavarvela. Tre anni? Le sue parole ebbero l'effetto di una pugnalata al cuore. Mortale. Addio sogni di gloria. Ci guardammo negli occhi, delusi, affranti, amareggiati, e ringraziando il Maestro davanti l'uscio di casa scendemmo le scale del suo appartamento con uno spirito decisamente diverso da come eravamo saliti.

Io, che ero tra quelli più creativi, avevo persino disegnato su ritagli di cartoncino Fabriano l'immagine fantasiosa del gruppo che consisteva in quattro elementi posti l'uno di fianco all'altro, copiato dalle figurine Panini in voga in quel momento, con la scritta del nome : gli Avvoltoi. Un altro nome scelto da quel contenitore senza fondo del bestiario beat italiano. Ma tutto finiva lì. Le aspettative di gloria cessarono in quel momento. Dei quattro soltanto Mario, tre anni dopo, farà irruzione nel mondo dei complessi imbracciando il basso in una formazione di paese costituitasi però su altre basi ma con gli stessi obbiettivi. 
Gli Avvoltoi non sarebbero mai nati. Nacquero invece altri rapaci simili in Emilia Romagna, quasi venti anni dopo, guidati da Moreno Spirogi, e guarda caso, proponendo un revival di musica beat. La stessa che avevamo in mente noi venti anni prima.
Luigi Ciavarella


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