IO, IL SABBA NERO, LA NEVE CIECA E IL SATANISMO FASULLO.
Breve riflessione su un paio
di album dei Black Sabbath.
Il primo album dei Black
Sabbath che acquistai fu Paranoid,
credo nell’estate del 1971. Nonostante l’orribile, fuorviante foto di copertina (una
raffigurazione caricaturale di guerriero con il casco da motociclista che impugna minaccioso una scimitarra), lo comprai lo stesso perché fui attratto
principalmente dal brano omonimo, l’incredibile hit che la mia generazione
aveva già mandato a memoria prima ancora dell’uscita dell’album. Pubblicato con la mitica etichetta Vertigo (storico logo a spirale), era la seconda emissione per la formazione inglese. Il
primo album, uscito l’anno precedente aveva destato più di una curiosità (sopratutto per quella copertina angosciante raffigurante una figura femminile al centro di una scena decadente) ma non
aveva suscitato abbastanza clamore. Perlomeno non come Paranoid che fu a dir poco una folgore
scagliata con forza su una scena rock già di per sé in movimento.
Intanto il 45 giri, uscito un attimo prima dell’album (ecco
spiegata l’incongruenza tra immagine di copertina e titolo dell'album, già programmato come War Pigs prima dell'exploit di Paranoid),
si era già affermato in quasi tutte le classifiche che contano, persino negli
Stati Uniti dove l’impresa non era affatto scontata. Quindi da qui l’attesa
spasmodica dell’album.
L’album, che possiede un suono aggressivo, tagliente, sicuramente ancora più vigoroso rispetto al precedente, era costruito intorno ad alcuni temi
che facevano evidente riferimento all’esoterismo/occultismo, persino ai simboli
del satanismo, insomma erano sonorità inquietanti che improvvisamente si
alberavano con riff micidiali di chitarra lasciandoti un’ansia addosso. E poi
quella voce sgraziata, acuta, urlata, che sembrava a volte fuoriuscire dagli
inferi per incastonarsi in una selva di suoni granitici, era quanto di più
inquietante si potesse concepire in quel momento. Quel suono farà molta strada
perché solleciterà intere formazioni a guardare in quella direzione oscura,
malsana, lungo cioè quei tragitti impervi, ambigui, ossessionati dal malessere
sociale (ecco una costante nella storia della musica rock) per i loro bisogni creativi, per dare forza e contenuti, se volete ancora più estremi rispetto alle origini. I
Black Sabbath di Paranoid, sin già dal precedente lavoro furono subito percepiti come un punto di
rottura col passato. Il rock voltava pagina. Dopo la sbornia floreale e psichedelica
si stava ricongiungendo, inasprendo i toni, con quei suoni che furono meno
accondiscendenti con l’ideologia hippy, ripartendo ancora una volta dal blues,
cercando spazi in ambienti più prossimi al rock in senso lato. Non si pensi
soltanto ai Led Zeppelin, che furono
tuttavia i più popolari, ma ad un intero movimento di virtuosi che, lasciatosi
alle loro spalle le nobili origini, irruppero fragorosamente sulla nuova scena rendendo
più plateale un suono più compatto tanto nella produzione
discografica quanto nelle performance.
I Black Sabbath, pur provenienti da esperienze varie, avevano radici blues evidenti per esempio in The Wizard. Del gruppo soltanto il chitarrista Tony Iommi (che ha chiare origini italiane) poteva considerarsi un
musicista di talento. Chissà cosa sarebbe stato di lui se avesse accettato
l’invito di Jan Anderson a far parte dei Jethro
Tull del dopo This Was.
Per sua (e nostra) fortuna respinse l’invito perché evidentemente aveva già in mente una sua idea di futuro. (Per
la cronaca qualche traccia di quel contatto la si può ritrovare nel video dei
Rolling Stones “Rock n Roll Circus”).
Il secondo vinile che acquistai, circa un anno dopo, fu Vol 4, subito dopo l’uscita nel settembre
del 1972, che illustrava in copertina uno scatto emblematico di Ozzy Osbourne. Avrebbe
dovuto intitolarsi Snowblind, dal nome di un tipo
di droga, ma furono costretti dalla Polygram a desistere accettando così un generico Volume 4. L’album mi colpì molto per il taglio asciutto del loro sound ma anche
per un paio di gemme acustiche incastonate dentro un catalogo prevalente di suoni rumorosi ed urla. Si tratta di Changes
(interpretata da Ozzy Osbourne al pianoforte con tanto di arrangiamento orchestrale) e di una altrettanto melodiosa Laguna Sunrise, eseguita
da Tony Iommi con la chitarra classica, e orchestra. In realtà sono le prime
crepe di un sound che stava dimostrando tutto i suoi limiti. Un cedimento
seppure ancora contenuto, già partito comunque dal precedente Master Of
Reality, che i Black Sabbath, non riusciranno in seguito più a nascondere
dietro un muro di suono.
Tuttavia l’album, che io conservo con affetto in fondo agli
scaffali della memoria, contiene altre tracce che ancora oggi riescono ad
emozionarmi : Tomorrow Dream, in
primis, potente quanto basta per affascinare migliaia di band metal che
nasceranno su quelle coordinate. (Iron Maiden, Metallica, etc.). Il brano ha avuto decine di tributi e versioni
alternative tra le più disparate tra cui, quella che più mi è rimasta nella mente, la versione fornita dagli Screeming
Trees di Mark Lanagan, davvero accattivante.
Snowblind, neve cieca, il titolo
immaginario dell’album che parla esplicitamente di droga, resta invece uno dei
brani più micidiali di sempre. Insomma un quartetto di oscuri musicisti, partiti dalla
provincia inglese, che non tarderà a lasciare un’orma gigante nella storia della musica
rock.
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