“LU SCAZZAMUREDDE” TRA FANTASIA, SUPERSTIZIONE E MODERNITA’
"Culla scazzelicchja roscia
Jangeluzze jè menute,
culla scazzelicchja roscia
chi lu te jè furtunate"
Secondo la definizione che ne da l’Autore, <lu scazzamuredde> è <una figura popolare, leggendaria … uno spiritello burlone e dispettoso, non malvagio> insomma una specie di indefinibile troll o folletto che dir si voglia con capacità di determinare, a secondo dei casi, la fortuna o la disgrazia di coloro con cui viene in contatto. L’Autore di questo testo, scritto interamente in vernacolo sammarchese, - in cui vi si narrano le vicende surreali di Angeluzze (questo è il nome dato allo spiritello impertinente) – è Raffaele Nardella il quale, insieme ad Angelo Ciavarella, ideatore dell'evento,(dal titolo Serata tra musica e parole) e i contributi al basso del veterano dei FFF Michele La Porta, nonché di Pietro Giuliani alla chitarra, la partecipazione straordinaria di Mikalett, etc. sono i protagonisti di uno spettacolo musicale che andrà in scena il 30 agosto prossimo presso il Freak di San Marco in Lamis.
Intorno alla raffigurazione
dello scazzarumedde si sono costruite
storie e leggende dai contorni fantasiosi che si perdono nella notte dei tempi.
Nonostante i tempi smaliziati del presente, l’immagine allegorica del
personaggio fiabesco resiste ancora nei racconti popolari del paese. I motivi
possono essere tanti e di varietà infinita. Anzi ne diventa persino un modello
di virtù suadente poiché dotato di generosità e, a modo suo, di senso della giustizia.
<Lu scazzamuredde cu la scazzelicchja
roscia ‘ncape, despettuse e scherzuse>
può cambiare le sorti di una famiglia. Come infatti avviene per la famiglia di
‘Ntuniucce Pincerutte, composta da
sua moglie Catarina e da duje figghje Raffaluccie e Nannina. Una famiglia<puvuredda puvuredda, che pe tanta che ieva
puveredda e disastrata, che se li
chiamavene cozze, pareva che l’avessere date lu titele de barone> che,
grazie alle simpatie de lu scazzamuredde, diventa improvvisamente
benestante ai danni di don Alefonse,
il possidente, vedovo, che osò importunare Catarina, nella cui casa accudiva la
figlia malata. Siccome Angeluzze <prutuggeva tutte li femmene che menevene
maletrattate> aiuta la famiglia disastrata al punto da farla diventare <da povere cozze che ieve, na famiggghia de
benestante e padrune di tutte li
fertune di don Alefonse (…), cadute in disgrazia> grazie ai ripetuti dispetti compiuti dal folletto.
L’epilogo di questa storia è
amaro e allo stesso tempo assai istruttivo che può essere riassunto in questo
detto popolare, citato in coda al libretto . <Chi lessa la via vecchia pe la
nova,/sape che perde e non sape che trova>.
Una vicenda narrata da Raffaele Nardella con una scrittura
persuasiva, avvincente, persino intrigante, ricchissima di termini dialettali
ormai in disuso, dai contenuti gustosi, seducenti ed educativi che, proveniente
dalle nebbie del nostro passato arcaico, può – secondo me - insegnare ancora tanto alle generazioni
odierne, sempre più distratte e distanti, se non altro per gli stimoli creativi
e fantasiosi che possono scaturire da letture di questo tipo. La stessa
fantasia <che tenevame da mininne, anche pecché non custava nente e non ce
vulevane manche li batterie per farla funzionà> poiché, conclude Raffaele,
<la fantasia non ha fatte ma male a niscune>.
Luigi
Ciavarella
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