MANDEL’STAM ED EVTUSENKO, DUE POETI AGLI ANTIPODI.
![]() |
Osip Mandel'stam (1891 - 1938) |
Nella metà degli
anni settanta ebbi la fortuna di fare la conoscenza, attraverso la lettura di due
volumetti di poesie pubblicati dalla Garzanti, di Osip Mandel’stam ed Evgenij
Evtusenko, due poeti russi del novecento. Due poeti dell’est europeo per
formazione, stile e scrittura completamente opposti l’un l’altro. Il primo, ebreo
di origine polacca, di Varsavia, subisce la persecuzione da parte del regime sovietico
e scompare in un lager staliniano mentre l’altro, siberiano, brillante poeta,
al contrario, viene ben tollerato dal regime nonostante le sue pungenti critiche
al sistema. Anzi è persino celebrato per il suo talento. Due condizioni umane e
letterarie agli antipodi per definizione. La prima, quella che ha prodotto
Mandel’stam in una situazione di estremo disagio esistenziale, possiamo
definirla una poesia neo classica per gli abbondanti riferimenti al passato che
contiene; il secondo, Evtusenko, vissuto in una epoca successiva a quella di Mander’stam,
possiede invece una scrittura ricca di nostalgico e disincantato lirismo,
almeno durante la prima fase della sua attività letteraria, che lo condurrà ad
essere identificato come una delle figure più prorompenti della nuova poesia
sovietica post staliniana. Indubbiamente una delle più rappresentative, una
notorietà che gli servirà per girare il mondo e intrecciare rapporti di
amicizia con i maggiori scrittori occidentali.
Eppure Osip Mandel’stam (nato nel 1891) era
stato negli anni venti del secolo scorso poeta brillante e autorevole. Le sue
poesie, stilisticamente influenzate dal simbolismo-esistenzialismo, contrastano
però con la giovane e dirompente poesia bolscevica dei Blok, degli Ivanov, etc.
impegnati ad esaltare una scrittura di taglio ideologico/rivoluzionario, e
questo mancato allineamento da parte del poeta d’origine polacco determinerà
dapprima la persecuzione e in seguito l’internamento in Siberia. La sua
indipendenza intellettiva e culturale gli sarà fatale. Infatti dal 1923 in poi
il suo nome diventa tabù nell’Unione Sovietica bolscevica e le sue poesie
subiscono un oscuramento totale. Morirà alla vigilia dello scoppio della
seconda guerra mondiale a causa di una malattia non meglio specificata mentre
le sue opere dovranno attendere gli anni del disgelo per ottenere il giusto e
meritato riconoscimento.
Di Evgenij Evtusenko (scomparso di recente) verranno ricordate
sopratutte alcune poesie che hanno avuto il pregio di raccontare il passato
nelle tante forme che lo hanno posseduto: bellezza, nostalgia e disincanto si
incontrano in La stazione di Zimà
che evoca paesaggi malinconici “… Amavo
la tajgà, i campi e le montagne/e le
silenziose case di Zimà”, un lungo poema che conserva il sapore del tempo
immobile; oppure la toccante dedica rivolta a Babij Jar, (“Oggi mi sento
Anna Frank/limpida come un ramo in
aprile/E amo/A che servono le parole?”) la cittadina in cui, nel 1941, fu
teatro di un tremendo eccidio compiuto dai tedeschi contro 70 mila ebrei
accusati di avere dato fuoco al paese.
Due poeti che hanno
incrociato la mia vita quasi casualmente in un periodo in cui tutte le parole
di questo mondo avevano un senso e una speranza. E noi ne subivamo il fascino.
“A cantare davvero/e in pienezza di
cuore/finalmente/tutto il resto/scompare: non rimane/che spazio, stelle e
voce.” (Osip Mandel’stam). Il
lascito di un grande poeta del nostro novecento.
Luigi
Ciavarella
![]() |
Evgenji Evtusenko (1932 - 2017) |