COLLAGE
L’ART
ROCK nel PROGRESSIVE ITALIANO ANNI ‘70
di NICOLA M. SPAGNOLI
Per la Giornata europea della Musica 2013 un
nuovo evento a cura del "Minimuseo" di San Marco in Lamis in provincia di Foggia
ma non nella sede classica quanto, per la prima volta, nei Laboratori ARTEFACENDO
della cittadina garganica che offre più ampi locali. Si tratta dell’esposizione
di preziose e storiche copertine dei più rappresentativi capolavori del
Progressive rock italiano degli anni ’70. L’esposizione, a cura di NICOLA MARIA SPAGNOLI e LUIGI CIAVARELLA, inizierà il 19 giugno alle ore 18 e si concluderà
il 21, giorno appunto della festa e del solstizio d’estate. Di seguito una breve
introduzione al genere musicale trattato, partendo dallo scenario
internazionale.
Nella breve storia del Rock se
c'è stato un periodo in cui si è cercato di fare qualcosa di diverso dalla
solita canzonetta di due/tre minuti unendo
più generi musicali, nonché della solita copertina fotografica, certamente
fu quello degli anni settanta del secolo scorso, con la nascita di quello che
comunemente venne definito Progressive Rock.
Il termine, coniato qualche anno dopo, indicava
soprattutto il nuovo rock, quello alternativo, underground, e lo dimostrano alcune riviste specializzate e nuove
dell’epoca come il numero 1 di GONG, in cui si dava ampio spazio alle Mothers
of Invention, agli Hatfield & the North, a Tim Buchley,
alla Bongo Dog Doo Dah Band, ma anche al nuovo jazz di Archie
Shepp, alla
musica d’avanguardia ed ai nostrani nuovi supergruppi come Il Volo di
Vince Tempera e Alberto Radius. Il
termine d’altronde girava già, e abbondantemente, fin dal ’69, financo sulle
raccolte inglesi della Vertigo, della Harvest e di altre case discografiche
specializzate nella scoperta di nuovi gruppi.
I brani, in questo filone, quindi si allungarono,
a volte a dismisura divenendo vere e proprie "suite", dove
naturalmente la parte del leone non fu più della chitarra ma degli strumenti a
tastiera allora in gran voga come il mellotron o i primi sintetizzatori che
affiancando innanzitutto organo e pianoforte contribuivano a creare un suono barocco e a volte fin troppo pomposo
pur non saccheggiando soltanto Bach o Hendel. Naturalmente anche basso,
batteria e chitarra, i classici strumenti del rock'n roll dovevano esserci ed
ecco creata la nuova fusion, certamente una novità che non sempre diede risultati
eccellenti. Ma non era tutto lì. Insomma non era cosi' semplice o
semplicistico. C'era di più. C'era soprattutto il ritorno della cultura,
voluta sia dai musicisti che non , erano in genere più improvvisati ma che si erano
formati nelle accademie, c'erano anche i gusti del pubblico giovanile che erano
maturati, almeno di quello più "acculturato" come studenti e
figli di papà che potevano più facilmente spendere in dischi e
concerti per una, diciamolo pure, voglia post-sessantottina di restaurazione,
di ritorno all'ordine. Questa voglia venne però immediatamente annullata,
all’ interno di questo movimento, dai gruppi prog politicizzati ad
iniziare dagli Area e poi dai T.T.T. (Teatro Temporaneamente Traballante)
preceduti naturalmente dagli inglesi
Henry Cow (il movimento R.I.O. ovvero Rock
in opposition) e dai Soft Machine di Robert Wyatt. Ma come mai la classica
aveva avuto questo revival improvviso? Merito forse della sua diffusione di
massa con le prime uscite in edicola, da parte di alcune case editrici, di
fascicoli e dischi con la storia della musica seria, a volte con una
vera e propria "presentazione” dove le musiche venivano introdotte con
delle vere e proprie piéce teatrali da parte di grandi attori o voci
del momento.
La scoperta di tutto un mondo musicale nuovo soprattutto etnico, con una
selezione che attingeva a piene mani dai cataloghi Philips, Prestige e Chant du
monde. Un altro segnale lo diedero nei '60 alcune colonne sonore suggestive e
piene di nuovi suoni, fra cui, a parte quelle notissime di Ennio Morricone o
quelle di A.F. Lavagnino, il primo con espliciti riferimenti al
mondo dei raga indiani, molto tempo prima che li "scoprissero" i Beatles
o che diventasse popolare in occidente un certo Ravi Shankar.
C'era, con il ritorno alla cultura, anche il
ritorno alla poesia e proprio i poeti o aspiranti tali, sono chiamati a
collaborare o a confezionare testi elaborati (Pete Sinfield per i King Crimson),
a volte ermetici, senza più cuore e amore, testi che erano, in
verità, fascinosi ma per lo più incomprensibili o almeno bisognosi di qualche
spiegazione in più come nelle antologie commentate di letteratura, testi
sofisticati, fuori dalla norma e, soprattutto, da ascolto,
come la musica del resto che cessava all’improvviso, rompendo con la tradizione
del Rock, di essere musica da ballo.
Ma la contaminazione era avvenuta a monte,
proprio nella musica classica contemporanea. Veniva certamente dagli Stati
Uniti dove Frank Zappa, che da piccolo aveva, da autodidatta, fatto
composizione e che al suo esordio con le Mothers of Invention o nel ’66 con Freak
out (uno dei primi dischi doppi) e poi con Absolutely Free e,
ancor di più, con la lunghissima King Kong di Uncle Meat e
nella collaborazione con il violinista J.L.Ponty, faceva
riscoprire, oltre al jazz più moderno, anche musicisti classici contemporanei
come Edgar Varese ed Igor Stravinsky che così divennero, loro
malgrado ed a-posteriori, vere stelle del Rock. Dove Terry Riley con
la sua minimalista "in C" affascinava tanti rocchettari
europei (fra i primi The Who), dove John Cage con il
suo pianoforte "preparato" apriva ai rumori e quindi all’evento, alla società moderna, trovando proseliti
anche in Italia (Demetrio Stratos) e poi veniva da veri complessi
rock come i Vanilla Fudge che con la stranissima suite The
beat goes on del 1968 dilatavano fino a completamente stravolgerlo il
martellante riff di Sonny Bono, dai New York Rock & Roll Ensemble
che trasformavano il classico in rock, o meglio il rock in classica; veniva con
Walter Carlos e Benjamin Folkman che, con prefazione
proprio di Robert Moog, "Switched-on"avano su Bach,
ed in Europa con i concerti universitari di Pierre Henry o di
Les Percussions de Strasbourg, stimolati dall'interesse popolare,
allargato come mai prima, fino ad abbracciare Stockausen e tutte le
avanguardie del ‘900.

Alcuni arrivano ad individuare la
prima pianticella prog italico nel disco dei New Trolls del ’68 fatto in
collaborazione con Fabrizio De Andrè, Senza orario, senza bandiera,
certamente già al di fuori del beat, ma in quanto a innovazione… o subito dopo,
nel ’69, in quello degli Stormy Six (con il già promettente Claudio Rocchi ) Le
idee di oggi per la musica di domani, ma potremmo risalire alle Storie
della sera Chetro & Co. un EP su versi di P.P. Pasolini
oppure al disco-quadro (nel vero senso della parola) di Le Stelle di Mario
Schifano del ’67, oggi introvabile e quotatissimo e persino falsificato
come le vere opere d’arte. Per avere episodi continuativi dobbiamo comunque
aspettare il 1970, anche per poter parlare realmente di Prog
italico con lo splendido esordio del Balletto di Bronzo (Sirio 2222), con una novità entusiasmante da parte di vecchie
glorie come l'Equipe 84 (ma in verità Id era del solo Vandelli) o
anche con il precedente Stereoequipe
poi con un complessino nuovo nuovo, la Formula 3, che prodotto da Battisti
sfornava un "Dies irae" non da brivido ma coinvolgente.
Ottimo anche l'esordio dei Trip e del già citato Claudio Rocchi che con un solo
titolo "Ouvres" primo brano dell'LP d’esordio “Viaggio”,
con un entusiasmante Mauro Pagani al flauto, potrebbe benissimo rappresentare
tutto il Prog italiano, anche quello successivo. Ottimo esordio dei Circus 2000
con una delle poche vere cantanti in circolazione, Sylvana Aliotta e quello dei
Gleemen che sfoceranno successivamente nei Garybaldi. Il primo disco di
successo del progressive italiano fu certamente il sopravvalutato Collage delle Orme anche se i germogli
già ci sono nel precedente Ad Gloriam.
Seguirono due veri gioielli, anch’essi di grande impatto, Per un amico della Premiata Forneria Marconi, gruppo derivato dai
più leggeri Quelli e l’esordio, con l’originale copertina a salvadanaio
sagomato, dei Banco del Mutuo Soccorso. Fra i prodromi come non ricordare anche Aria di Alan Sorrenti, Ys del Balletto di bronzo e
poi tutti gli altri che vennero successivamente, da Franco Battiato agli Area, dal
Canzoniere del Lazio ai Pierrot Lunaire, dagli Opus Avantra a Roberto Cacciapaglia fino a morire
lentamente con l’avvento del Punk per poi risorgere più di una volta, fino ai
giorni nostri, seppure in forme underground ma sempre fedele alla linea..
Nicola Maria Spagnoli
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