SE IL BISOGNO DI RICORDARE E' MEMORIA DELLA PROPRIA INNOCENZA.
di MATTEO COCO
Le Edizioni del Rosone, dirette da Falina Marasca, recentemente si stanno
affermando come una piccola editrice molto vivace nell’ambito del territorio
meridionale e ci propongono attualmente un testo originale di Raffaele Cera
L’Innocenza Ritrovata (Foggia, Edizioni del Rosone, 2015, pagine 118, euro
12.00) che affronta il tema di una memoria che si fa vita vissuta e per questo
va certamente ricordata. Sono figure, personaggi e paesaggi quelli descritti da
Cera, oggi dirigente scolastico in pensione e animatore culturale, che continua
un suo colloquio interiore di cui mette a parte i suoi lettori e fa il paio con
altre sue opere come: I luoghi dello spirito e Incontri e Maestri (da S.
Agostino a E. Bianchi) allora prefazionati dall’Arcivescovo F. P. Tamburrino.
Un mosaico, dunque, che l’autore va apprestando tessera per tessera, quasi un
puzzle che ricostruisce la sua e la nostra memoria e affonda le sue radici in
nobili e illustri precedenti: penso, per es. ai ricordi di Sartre, intitolati
solo: …parole, in cui il famoso filosofo così, come oggi fa Cera, ricostruisce
“il tempo ritrovato dell’infanzia nell’autoritratto della maturità” o penso a
Pavel Florenskij, uno dei maggiori pensatori (matematico e teologo) del XX
secolo che, scrivendo ai suoi figli, titola quei fogli: Memorie di giorni
passati e afferma: “Tutto passa, ma tutto rimane. Questa è la mia sensazione
più profonda: che niente si perde completamente, niente svanisce, ma si
conserva in qualche modo e da qualche parte. Ciò che ha valore rimane, anche se
noi cessiamo di percepirlo” (in Non dimenticatemi, 1933-1937). Parole, quindi,
che arricchiscono non solo l’autore ma lo spirito di chi intendesse riguardare
questa trentina di racconti brevissimi che non appesantiscono affatto la
lettura ma la rendono interessante nella misura in cui le memorie di Cera
diventano memorie quasi collettive perché ognuno di noi ha vissuto nel suo
ambiente fatti e situazioni che, forse, oggi sono improponibili o sono soltanto
un suggestivo emozionante ricordo. Leggere Cera vuol dire, allora, ricomporre
un microcosmo che vive in una cittadina di provincia, ma amplia gli orizzonti e
si allarga fino ad essere globale e di tutti poiché c’invita a conoscere la
vita con la sua storia e le sue esperienze.
Cera
non se ne sta seduto a compiacersi della sua sfera privata ma ricostruisce coi
ricordi, riga dopo riga, la sua biografia, calandosi proprio là dove hanno sede
i ricordi della quotidianità della propria famiglia e del proprio paese per
tramandare ai suoi “posteri” la propria memoria. Alcuni brani, addirittura, io
credo, sembrano essere stati dettati dalla sua anima “sammarchese” e,
“attraverso la sua mano, sigillati dall’inchiostro per poi essere divulgati” .
Traspare in Cera la volontà di chi vuol tramandare ai suoi concittadini le sue
“emozionanti” conoscenze e non custodirle gelosamente; la conoscenza dettata
dall’esperienza, dalla curiosità, oltre che dalla rielaborazione dei ricordi di
quanto accadeva attorno a lui durante l’infanzia e l’adolescenza. “Nulla è
lasciato in disparte o al caso (Cera) non tralascia nulla, nemmeno le più
semplici e naturali cose. Tutto viene descritto e ogni piccolo elemento non
sfugge a momenti di riflessione. Così, il “ricordare” è un suggerimento che più
volte compare nel testo. I ricordi assumono un’importanza strabiliante e oltre
ad essere momenti di un piacevole passato, talvolta diventano punto di partenza
del viaggio della conoscenza”. L’Autore sa affrontare i temi più svariati e con
l’uso sapiente della parola si pone come “memorizzatore” verso tutti coloro che
vogliono conoscerlo. Parla di se stesso, della sua famiglia, del suo paese (di
S. Marco) e dialoga con tutti “ma contemporaneamente trasmette dei messaggi che
possiamo definire “universali”, utili a tutti. E lo fa in un modo che non risulta
distaccato, bensì coinvolgente con il suo pensiero”. Particolare attenzione
nella lettura di Cera, quindi, “è doverosa proprio per comprendere la varietà
dei messaggi trasmessi. E quindi ci si può trovare a rileggere attentamente
qualche riga per poi acquisirne il più profondo significato”. Perché profonda è
sicuramente anche la sua sensibilità. Se riflette, in questo libro, Cera lo fa
riguardo anche al più semplice e piccolo ricordo o elemento vitale; per esempio
la mòlia, la trennela, li pastorelle, etc… descritti nel minimo particolare
reso delicato anche da momenti di qualche valore poetico. Se non paresse troppo
arduo il paragone, si potrebbe addirittura azzardare nel dire che “leggere
(Cera) è essere esploratori meravigliandosi delle diverse facce che la vita ci
mostra”. In questi racconti si può dire che l’autore “unisce magistralmente
concretezza e spiritualità esprimendo tutto il suo essere”.
Basteranno un oggetto, un mestiere, una situazione a evocare un ricordo che
possa sollecitarci non solo ad apprezzare queste descrizioni, ma a ricordarci
una festa, una gita, un personaggio caratteristico di paese, un momento che
anche noi lettori potremmo ripercorrere e rivivere nell’angolo più remoto della
nostra memoria, sede di ogni nostra più forte e cara condizione da trasmettere
e tramandare proprio come Florenskij alle generazioni future: “Caro Kirill,
[...] la mia unica speranza è che tutto ciò che si fa rimane…Se non fosse per
voi, rimarrei in silenzio”. La speranza che tutto, ogni piccolo istante
della/nella propria memoria sia impresso su carta, come una vecchia foto
ingiallita che ci dia nostalgia o come un selfie nell’odierna civiltà delle
immagini.
Matteo Coco
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Raffaele Cera a destra in una foto di repertorio |
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