LUCIO DALLA, UNA VOCE FUORI DAL CORO.

Il Lucio Dalla che meglio ci appartiene è interamente racchiuso nei settanta. Non bisogna cercarlo negli ottanta quando salvo qualche estemporaneo guizzo (per esempio il brano Caruso) men che mai nei sessanta nel periodo in cui l’eclettico cantante bolognese subisce una serie di insuccessi tali da indurlo a riflettere sul suo futuro artistico.
In realtà egli era troppo avanti rispetto ai tempi musicali dominanti. D’altra parte le sue origini musicali erano colte. Aveva suonato il clarinetto in famosi ensemble jazz con musicisti come Bracardi, Catalano, etc. prima di approdare alla canzone, spinto in questa direzione da Gino Paoli.
Con la RCA, l’etichetta che lo sosterrà sempre nonostante le difficoltà, pubblicò una serie di singoli che , forse a parte Il Cielo, - che ebbe un discreto successo -, gli altri non riuscirono a colpire l’interesse dei giovani. Anche il primo album, oggi una rarità, dal titolo futurista 1999, ebbe uguale sorte. Lo stesso dicasi del successivo Terra di Gaibola, pubblicato all’alba dei settanta, nonostante fosse percettibile un certo miglioramento rispetto al precedente, e la presenza di Occhi di ragazza di gran lunga migliore della versione di successo fornita da Gianni Morandi.
Il successo arriva nel 1971 con il brano che porta la sua data di nascita, presentato anche  questo a Sanremo, con testo scritto da Paola Pallottino, che si rivelerà verosimilmente il lasciapassare per agguantare il successo a lungo desiderato. La canzone non ha nulla di particolare ma la sua semplicità narrativa la rende seducente agli occhi di un pubblico finalmente ricettivo nei suoi confronti. La canzone fu oltremodo censurata e ciò la rende,come sempre accade in questi casi, decisamente più visibile.
Il sodalizio con il cantautore Ron porta alla composizione di Piazza Grande, presentata a Sanremo l’anno dopo, è questa volta Lucio Dalla fa centro con una canzone davvero sorprendente, sia sul piano melodico quanto sulla qualità del testo. Sul piano degli album si registra intanto un altro sodalizio, quello con il poeta bolognese Roberto Roversi che si presta alla scrittura dei testi della famosa trilogia (Il giorno aveva cinque teste, Anidride solforosa e Automobili, 1973-1976) forse il punto più alto raggiunto dal cantante bolognese, se non altro per il carattere letterario di cui è investita la sua canzone. Però quando nella metà di settanta comincia a scrivere da sé le sue canzoni il rapporto cambia e, raggiunta anche una certa maturità, Lucio Dalla compone i suoi motivi più belli e memorabili. Prima fra tutte Come è profondo il mare indubbiamente una delle canzoni più belle in assoluto (e drammatiche) del repertorio italiano, scritta in uno di quei rari momenti di grazia, irripetibili, che accadono una sola volta nella vita. Il brano è ispirato al nostro lembo di mare e in particolare alle isole Tremiti di cui il cantautore non fa mistero di avere nei loro confronti una speciale predilezione. Segue l’album omonimo che reca il suo faccione in copertina (foto) dove la sua ispirazione raggiunge il top. L’album, uscito nel 1978, contiene il brano L’anno che verrà uno dei suoi brani più famosi. Ma non è soltanto quello. Da Anna e Marco, Stella di mare, Milano, Tango, La signora, passando per il duetto con Francesco De Gregori in Cosa sarà, Lucio Dalla mette in fila una serie di brani straordinari che rimarranno impressi per sempre nel ricordo di molti. E’ il disco, come qualcuno ha scritto, che qualsiasi cantautore sogna di fare almeno una volta nella vita.
Dopo questo capolavoro Lucio Dalla parte con l’avventura di Banana Republic insieme a Francesco De Gregori e Ron (in seguito collaborerà anche con Gianni Morandi) gestendo la sua vita artistica, tra alti e bassi, con dischi non sempre all’altezza della sua arte ma sempre con estro e professionalità sino al primo marzo 2012 quando improvvisamente muore a Montreux (Svizzera) durante un tour.
Luigi Ciavarella

 

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