IL MIO FABER VENT’ANNI DOPO.

Quando Mina portò al successo La canzone di Marinella, scritta da Fabrizio De André qualche anno prima prendendo spunti da un fatto tragico realmente accaduto, pochi conoscevano il suo nome. La radio non lo passava quasi mai e il personaggio tra l’altro era anche di carattere abbastanza schivo. Senza quel successo probabilmente Faber (fu Paolo Villaggio a soprannominarlo così per via delle matite) avrebbe avuto una esistenza diversa (Sarebbe stato un pessimo avvocato, come confessò). Ma per fortuna i fatti andarono diversamente ed oggi, a distanza di venti anni dalla sua prematura scomparsa, lo possiamo ricordare come uno dei maggiori cantautori italiani.
Il mio Faber comincia con la Canzone di Marinella e si chiude con Smisurata preghiera di Anime Salve. Un lungo periodo che ha visto crescere il mio amore per quel timbro di voce così caldo e allo stesso tempo così potente, e per quei testi che raccontavano il mondo circostante visto dal basso, dalla parte degli ultimi dei diseredati e dei perdenti. Ma anche di guerre, di morte, di prostitute redenti, di strani testamenti, di delitti in paese, di soldati portati via dalla corrente, etc. tutti argomenti perlomeno insoliti per l’Italia dei festival e un po’ banale di quegli anni cosiddetti favolosi..
L’incontro con i suoi album a cominciare da Non al denaro né all’amore ne al cielo del 1972  cambia il mio approccio verso la sua musica. Quando riuscii a possedere i suoi due ultimi album appena usciti in quegli anni. e tenerle per oltre un mese, (Non al denaro ne all’amore ne al cielo e Storia di un impiegato) si aprì davanti a me uno scenario dalle prospettive alettanti. I due dischi mi rivelano lo spessore di un cantautore che produce cultura e si cala nei problemi del Paese con l’occhio vigile dell’osservatore attento. Il primo adatta, con la collaborazione fattiva di Fernanda Pivano (che sapevo soltanto prima di quel momento soltanto come amica di Ernest Hemingway e profonda conoscitrice della letteratura americana) in musica alcuni testi dell’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters, che già avevo letto poiché colui che mi ha prestato il disco ha ritenuto utile prestarmi anche il libro; mentre il secondo, curiosamente, assistiamo ad un Fabrizio De André insolito, politico, posseduto da testi crudi che mirano al cuore del problema (il 68 e le sue utopie colte all'indomani dei fatti attraverso lo sguardo e le  riflessioni di un impiegato deluso, che vive tra la nuova realtà come un sogno infranto) con una musica di impostazione rock che mal s’adatta allo spirito del cantautore, almeno fino a quel momento conosciuto. Ne rimango sconcertato ma allo stesso tempo affascinato.
A partire da Creuza de Ma del 1984 (probabilmente la massima Opera realizzata in Italia in ambito pop e uno dei testi base della World Music internazionale), entra in un nuovo ciclo compositivo che guarda alla ricerca delle tradizioni come punto di partenza per un viaggio dai risultati sorprendenti. Si tratta di un <tributo alla terra>, solenne, luminoso, attraverso le tante voci che la abitano. Un album potente ed evocativo che ci introduce un genere nuovo anche se, francamente, la Word Music fuori da Creuza de Ma, non mi ha mai appassionato più di tanto. Dopo questo storico album Faber perseguirà su questa strada seppure con minore impatto e pause sempre più lunghe. La ricerca continuerà con i successivi Le Nuvole e Anime Salve, i suoi ultimi splendidi lavori, che rivelano un Fabrizio De André ai massimi livelli intellettivi ed artistici e non sapremo mai cos’altro ci avrebbe riservato se fosse ancora tra noi.


LUIGI CIAVARELLA




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