IL SUONO PSYCH/HARD DEI DESERT WIZARDS.


La rock band proviene dalla provincia di Ravenna e finora ha pubblicato tre album l’ultimo dei quali licenziato l’anno scorso dalla Black Widow, come i precedenti, dal titolo Beyond The Gates Of The Cosmic Kingdom che possiede una copertina sgargiante che sembra uscita dalla fulgida stagione psichedelica dei sessanta (opera di Perla Bandini). In realtà i Desert Wizards dei favolosi anni prendono soltanto l’ attitudine alle buone vibrazioni psichedeliche ma l’impianto sonoro è tutto radicato nei settanta, in quelle terre di confine tra suoni pesanti anzi granitici,- che ricordano Black Sabbath e Atomic Rooster - con sferzate e fughe chitarristiche di grande impatto sonoro (ascoltare Astral Master, il brano di apertura, per rendersene conto!), e suoni più rarefatti ed avvolgenti, dove il tutto è tenuto insieme da un intreccio di rimandi molto convincente. Un suono che può apparire persino derivativo, per i tanti fluidi sonori del passato che evoca, ma che allo stesso tempo rivela una propria originalità di fondo se non altro per l’uso intelligente delle tastiere di Anna Fabbri che fanno la differenza.
Merito della brava tastierista (e voce) ma anche del resto della band che comprende Marco Goti alla chitarra, Marco Mambelli al basso e ai sinth e Silvio Della Valle alla batteria, - ottimi musicisti dalle tante risorse stilistiche - insieme da dieci anni nati con l’idea di suonare un tipo di rock che guarda agli ambienti malsani dell’underground più oscuro e deleterio, tipo Joseful, Wicked Lady, così come d’altronde hanno dichiarato.
Il loro primo album risale al 2009 ed è il più lisergico di tutti per le tante sfumature cromatiche che tengono insieme suoni pesanti e corrosivi, che attingono dal doom come dallo stoner – punte estreme dell’hard rock - in ugual misura e con una immagine curiosa di copertina che proviene direttamente dallo stesso set fotografico servito per illustrare un lavoro dei piacentini Wicked Minds, altra band dell’etichetta genovese. Il secondo, pubblicato quattro anni dopo (Ravens), affina meglio il loro suono. Le tastiere sono più liquide mentre la chitarra di Goti imbastisce con più cura le proprie trame elettriche, intercettando così un suono che, seppure rivolto ai Black Sabbath, quelli più funerei, riesce magnificamente a dargli una forma più personale. Si tratta in effetti di un decisivo passo avanti soprattutto del modo di gestire e definire un proprio stile.
L’ultimo, quello di cui parliamo, arriva a conclusione di un percorso in crescendo all’interno di una corposa scena musicale in movimento e di cui l’etichetta ligure ha avuto un ruolo rilevante avendo gestito un catalogo di tutto rispetto.
Beyond The Gates Of The Cosmic Kingdom contiene otto brani e custodisce un caleidoscopio di suoni che richiamano in più punti molti nomi del passato. Tra il lento incedere di Astral Master, in apertura, che riserva un assolo di chitarra formidabile, ai ritmi lenti di Dogstar, altro gioiellino impreziosito dalla bella voce di Anna Fabbri e dai ricami delle sue tastiere, sempre presenti in ogni brano, passando per l’hard granitico di Born Loser , che ricorda per temperamento un po’ i Galletti Atomici di Du Cann, sino alla più bella di tutte dal titolo The Man Who Rode The Time, ipnotica e seducente, chiusa con un tocco di pianoforte superlativo, e l’ultima A Light in the Dog, con un sassofono che ricorda addirittura i Pink Floyd di Money, l’album si chiude in un tripudio di citazioni che spaziano persino nel garage in stile anni ottanta (Plan 9 per esempio anche se certi accostamenti tra Anna Fabbri e Deborah De Marco non reggono il confronto se non altro perché si tratta di due personalità distinte e lontane).
  Luigi Ciavarella 



           


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