NICK DRAKE E IL CANE DAGLI OCCHI NERI
Il 25 di novembre del 1974 moriva Nick Drake, uno dei
cantautori più malinconici e introversi che la scena folk britannica ricordi.
Ripubblico per l’occasione un ricordo che allora scrissi per Music’Arte.
Nick Drake ci lasciò tre album, pubblicati tra il 1969 e il 1972
dalla Island Records di Londra, tutti avvolti da un sottile strato di
desolazione emotiva e da una forte inquietudine interiore a tratti persino
disperata.
Da Five Leaves
Left a Pink Moon, con in mezzo
il suo capolavoro Bryter Layter, il gracile cantautore
inglese disegna un archetipo scarno ed essenziale in cui riversa la sua idea di
comunicazione col mondo attraverso la scrittura di vere e proprie liriche vestite con arpeggi di
chitarra acustica. Ha un modo strano di suonare la chitarra, accordi di sua
invenzione e una tipologia di suono sempre differente in rapporto alla canzone,
faranno di lui un precursore ma limiteranno anche la sua azione espositiva
durante i pochi concerti effettuati in quanto ogni brano abbisognava di una
accordatura diversa di chitarra. A queste difficoltà oggettive si aggiunga una
indole timida e melanconica che, se da un lato gli riservano una nicchia da
personaggio cult, non lo aiutano al contempo ad emergere dalle secche del suo
ambiente segregato, prigioniero com’è del suo ruolo di outsider fuori dai
veicoli promozionali che lo show business impone.
Nick Drake ha scritto bellissime canzoni distribuite in
quattro album ufficiali di cui uno postumo, il significativo Time of no Reply, poi finiti a
completare il cofanetto definitivo Fruit
Tree del 1979. Non vi sono altri documenti proveniente dagli archivi della
BBC o resoconti di concerti che attestino la sua partecipazione ad eventi live
del periodo, il personaggio ha vissuto la sua vita artistica in una condizione
di assoluta solitudine. Anzi i suoi dischi proprio per questa ragione non hanno
venduto come avrebbero meritato. Di certo è mancato un veicolo promozionale
adeguato da parte della Island, in quel periodo impegnata a sostenere altri
artisti della scuderia, tuttavia la sua
indole, estranea allo show business, non ha favorito la pubblicità dei propri
dischi attraverso le date dei concerti quasi inesistenti.
La mancanza di riscontri è stata la causa principale dell’insorgenza
della sua malattia, la depressione, che lo accompagnerà sino alla morte,
avvenuta in circostanze mai chiarite, nel sonno durante la notte del 25
novembre 1974.
Eppure ad ascoltarli oggi i suoi dischi non paiono avere
tutto quel peso oppressivo che certa critica vuole attribuire ai suoi lavori.
Se si esclude Pink Moon,
l’album–testamento, pubblicato nel 1972, in cui si avvertono evidenti i morsi
della sua malattia in brani scarni ed essenziali quasi fossero demo, pubblicati
in solitudine in soli due giorni, i primi lavori conservano intatto un certo
fascino versatile che ancora resiste nel tempo.
Il primo album, Five
Leaves Left, del 1969, possiede un suono acustico leggero, autunnale,
appena spolverato da leggerissima coltre orchestrale e percussioni appena
percettibili quasi a non disturbare il senso lirico delle parole che Nick Drake
canta con voce quasi sommessa, a tratti persino sussurrata. Lo accompagnano
alcuni musicisti dei Fairport Convention, tra cui Ashley Huntings, colui che lo
ha portato alla corte di Joe Boyd, il produttore principe del folk inglese, che
in seguito si disinteresserà di lui, contribuendo suo malgrado ad accrescere il
suo malessere interiore.
Il disco si rivela un totale insuccesso.
Il secondo, Bryter
Layter, l’anno successivo, oppone un deciso passo avanti in termini di
produzione. Gli interventi musicali si arricchiscono dei contributi di John
Cale alla viola e al clavicembalo, presente in tutti i brani, dei Fairport
Convention e si avvale della collaborazione di due pianisti d’estrazione jazz,
Chris Mc Gregor e Paul Harris, oltre agli archi diretti da Robert Kirby che
danno un tocco di perfezione all’intero lavoro.
Il lavoro apre con il suono struggente della viola di
Cale e termina con Sunday, un brano
orchestrale che odora d’autunno. In mezzo alcuni brani memorabili, dai ritmi
quasi samba di Hazey Jane II, un
piccolo hit mancato, ad una delle più belle canzoni di Drake, At The Chime of a City Clock . One of
These Things First ha invece chiari ritmi latino–americani mentre una voce
scarna e duttile copre i sottofondi orchestrali di Kirby nel brano Hazel Jane I. Dopo il brano strumentale
che da il titolo all’album dal suono fresco e solare, gli ultimi brani sono il
picco più alto dell’album : Poor boy
( “ nessuno sa/che
freddo che fa/nessuno vede le mie ginocchia nude/a nessuno importa/delle mie
scale ripide/nessuno mi sorride/….” ), lievi ritmi da samba appena
sussurrati e un suono di chitarra pregno di pathos accompagnano frasi che sono
i prodromi di una sofferenza annunciata, e Northern
Sky, forte emotivamente, sempre puntellata dal pianoforte, altro hit
mancato, “ Non ho mai provato una cosi
incantevole magia/non ho mai visto lune capito il senso del mare/non ho mai
accarezzato un’emozione con le mie mani/o sentito dolci brezze in cima agli
alberi …. “, ultimi bagliori poetici crepuscolari prima dell’oscurità del
male.
Dopo questo album, anch’esso poco fortunato, Nick Drake
cadde in depressione e dopo un ultimo estremo tentativo (Pink Moon, 1972 album dai tratti spettrali e disperati ) ormai
preda del suo male lascia Londra e torna a casa, da sua madre a Tanworth en Arden, nella campagna
inglese.
Il cantautore che amava i cosiddetti poeti francesi
maledetti e la musica di Van Morrison, muore durante la notte del 25 novembre
1974 all’età di 26 anni. Sul comodino il mito
di Sisifo di Albert Camus, un
libro sul malessere di vivere quasi una istigazione al suicidio e sul piatto
del giradischi i concerti brandeburghesi di J.S.Bach.
Il cane dagli occhi neri era entrato nella sua camera quella notte d’autunno per
portalo via con sé. Per sempre.
Nick Drake riposa nel piccolo cimitero di Tanworth en
Arden all’ombra di una quercia accanto ai propri genitori, il padre Rodney e
sua madre Molly, morta nel 1993.