LA SCRITTURA DI MIKALETT, L'IMPERTINENTE....

di MATTEO COCO

Matteo Coco ( a sinistra) con l'Autore Michele Giuliani

Mikalett, lo conosciamo tutti, è un personaggio che si fa notare facilmente in qualsiasi consesso artistico locale e spazia dalla musica alla scrittura, passando per il teatro e la danza, senza scadere mai troppo nel banale, e semmai mettendosi in mostra per alcune “eccentricità” uniche nel loro genere. Così ogni tanto fa anche qualche incursione nella scrittura come quella che stiamo presentando stasera: un volumetto che, devo dirlo subito, non ha esiti eclatanti ma, presentandosi in modo dimesso, organizza alcuni suoi lavori che a dire il vero aveva già pubblicato in formato ciclostile o che erano comunque già conosciuti. Ma andiamo per gradi: le MASSIME sono variegate: “essere ignorante è il colmo della vita” … laddove l’ignoranza non permette lo sviluppo culturale e talvolta morale della persona; altre lapalissiane, come si suol dire, cioè ovvie o scontate, come ad es.: “L’uomo onesto può vivere bene ma difficilmente potrà arricchirsi”; altre legate al pensiero classico come ad es. il “gnoti se auton” il “conosci te stesso” greco, per poter conoscere gli altri, opposto dell’ignoranza perché proprio Mikalett questa massima la titola Intelligenza… e altre, infine, particolari perché esprimono un modo di vedere, di essere (o parlare) dell’autore stesso: “il silenzio ci fa capire tante cose nuove e ci fa capire chi siamo noi” per parlarci di una interiorità essenziale che è risposta a quel pensare classico di cui si è detto poc’anzi, 5/6 pagine per un centinaio di massime, insomma, che aiutano a riflettere e a vivere adeguatamente, dignitosamente la propria esistenza… SULE SE SA ABBALLA’ ‘MPARAVISE PU’ ARREVA’ è una satira come lui stesso la definisce, senza molte pretese, ma che attinge all’idea e all’azione che Mikalett da qualche anno si è ritagliato e al quale punta, forse, come sogno di un certo dinamismo intellettivo che può condurre alla gioia di affrontare prove vitali più difficili e sublimi. E però bisogna dire che, nonostante il dignitoso aiuto della Galante, forse ci sarebbe voluta maggiore cura e attenzione, nella revisione, al testo e nel contempo alla trascrizione dialettale, come pure nella favola (più volte raccolta e citata credo anche da Grazia - Galante) de LU VECCHIE, LU CRIJATURE E LU CIUCCE

da sin: Sara La Porta, Luigi Ciavarella, Matteo Coco, Michele Giuliani, Mario Ciro Ciavarella

anche se questo mio giudizio limitato è forse tale perché io sono legato maggiormente al testo teatrale de CHI MAGNA SULE CE AFFOCA, testo che non solo fu curato alcuni anni addietro dallo stesso Mikalett, ma fu da noi rappresentato circa quarant’anni or sono… il poemetto LA LUCE, invece in ultimo, ha degli spunti buoni, ma questi, mi dispiace dirlo, andavano maggiormente affinati e approfonditi, al di là della freschezza, della genuinità e dell’immediatezza “mikalettiana”. L’intuizione d’un paradiso fatto di Musica e LUCE, da Dante al nostro J. Tusiani, è una costante della tradizione letteraria che ha trattato di questo argomento sublime e tuttavia (visto che ho citato Dante) mi vorrei soffermare solo a una delle citazioni che inframmezzano il testo e far riferimento al “gesuita-proibito” a quel Theilard de Chardin teologo- evoluzionista che tanto ho letto e amato durante la mia giovinezza liceale, con infinite discussioni con Padre Celestino (che qui vorrei ricordare perché mi permise di presentarlo nell’ora di religione). Ebbene Theilard maturò la vocazione religiosa, proprio quando lesse Dante e scrisse una serie di saggi e fece l'esperienza della prima guerra mondiale (di cui quest’anno ricorre il centenario) che fu molto importante per la genesi del suo pensiero. 
Di quel periodo fu anche la redazione di un diario che, oltre ad altri scritti, costituirono il primo abbozzo del suo pensiero scientifico-teologico maturo e sempre a questo periodo è da situarsi il suo Inno alla Materia: <<Benedetta sii Tu, universale Materia, Durata senza fine, Etere senza sponde, triplice abisso delle stelle, degli atomi e delle generazioni, Tu che eccedendo e dissolvendo le nostre anguste misure ci riveli le dimensioni di Dio>>. Ma qui il discorso si farebbe piuttosto complicato e lungo se dovessimo discutere su ogni citazione: da Tagore a Epicuro, che pure l’autore dimostra non solo di conoscere ma di citare appropriatamente, come, forse, dimostra di conoscere bene Giovanni quando ci propone: “Dio è luce. Dio è amore. In questo è l’amore: non che noi abbiamo amato Dio, ma che egli ha amato noi, e ha mandato suo Figlio” (Gv, 1,5 – 4,8). Ecco perché dico che la proposta poetica di Michele Giuliani è efficace, ma va ricondotta, a mio avviso, in un alveo letterario maggiormente raffinato e ampliato, io direi “puntualmente” riguardato. Se mi è dato stasera di essere, però, fino in fondo sincero: più che il Mikalett “scrittore”, io prediligo il Mikalett che canta l’epopea dei briganti (di cui ho introdotto la prima musicassetta) e il Mikalett di alcune produzioni “cantautoriali” come uno dei più recenti: quel

da sin:  Luigi Ciavarella, Matteo Coco, Michele Giuliani, Mario Ciro Ciavarella

tutto mi appartiene che evoca il suo mondo, un sud fatto non solo di nostalgici ricordi d’infanzia, ma anche di lotte per la libertà e l’affermazione delle proprie appartenenze… perché certe suggestioni non possono, prescindere da una emozione che coglie il lettore e lo appassiona. 
Questo è, perciò, libro ormai letto e archiviato.
Attendiamo, dunque, un Mikalett più maturo nella scrittura che possa, sì raccogliere i suoi scritti “acerbi”, ma offrirci qualcosa di più completo e poeticamente esaltante.
Grazie, poi, a Mikalett per averci fatto scoprire con questo volumetto un’artista come Sara La Porta, eclettica e oltremodo fotogenica: che ci potrebbe ricondurre alla paradisiaca Beatrice, guida e mistero di quell’ eterno femminino di cui parla proprio De Chardin e che può sciogliere il dubbio finale di Mikalett: <<…non dimentichiamo che quando nel libro della Genesi Dio crea l’uomo e la donna, li crea entrambi a sua immagine: “questo non significa solo che maschio e femmina vengono creati con la stessa identica dignità, significa che in entrambi c’è l’immagine di Dio e che quindi Dio ha elementi dell’uno e dell’altra”>> .
Però, adesso, m’accorgo (come ho già detto) di farla troppo lunga e, forse, complicata la cosa; allora smetto e mi ritiro confessandovi soltanto che l’autore, scarso fotografo, che ha scattato l’ultima immagine del volumetto (a pag. 79) sono orgogliosamente io. 
Grazie, Michele, per averci regalato anche questa serata e continua ad essere un sognatore quel tanto impertinente perché i tuoi sogni possano realizzarsi e sperimentare ancora la concretezza della vita reale.

                                                                                                                         MATTEO COCO 


           

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