UN RICORDO DI JIMI HENDRIX A 43 ANNI DALLA MORTE.
di Luigi
Ciavarella
Ci sono molti modi per iniziare a parlare di Jimi Hendrix oggi a 43 anni dalla morte. Tanti modi per ricordare la figura suprema del rock, colui il quale “… prese possesso del rock non ancora maggiorenne e lo rivoltò …” secondo il giudizio di Eddie Cilia, poiché nasce con lui un’idea completamente nuova di suonare quella musica, direi quasi una visione e un approccio completamente agli antipodi che lasciano sbalorditi un po’ tutti, Come, per esempio, quella sera dell’11 settembre 1967 quando, alla presenza della crema del rock londinese al gran completo, ( “… se fosse scoppiata una bomba lì il rock inglese avrebbe cessato di esistere …” disse Charles R. Cross ) al Bag’s Nails, un malfamato locale dalle parti di Soho, Hendrix si produce in una performance strabiliante, aliena per quei noti musicisti convenuti in quel posto ad assistere alla meraviglia del momento, i quali restano tutti a bocca aperta, sballottati nella confusione tra lo stupore e la rabbia.
Jimi aveva già inciso il suo
primo singolo Hey Joe, un brano molto amato da Chas Chandler, il manager che lo aveva scoperto in America e lo
aveva convinto a trasferirsi in Inghilterra, lasciando sul suolo natio una band
riluttante al passaggio in Europa tra cui un Randy California alle prime armi che avrebbe di lì a poco fondato
gli Spirit sulla falsa riga della
musica prodotta da Jimi Hendrix sull’altra sponda dell’Atlantico. Hey
Joe aveva avuto altre versioni, talune anche di successo come per
esempio quella dei Leaves che era invece
di stampo proto hard ( altre note quelle dei Standells e dei , Love ), tutte rispettose della
tradizione na Jimi Hendrix ne aveva
ricavato una nuova versione con un fraseggio impeccabile, lenta e voluttuosa
senz’altro con un suono più personale rispetto alle versioni dominanti. Il
brano era al sesto posto in classifica quando esplose il “caso Hendrix” il guitar hero, fenomeno e asceta che
presto avrebbe cambiato il modo di suonare e vivere il rock, spingendolo verso
una maturità competitiva con altre forme musicali, idea assolutamente impensabile appena pochi
mesi prima.
Al suo fianco oltre a Chas Chandlers, che abbandonò gli Animals per occuparsi di lui, e Michael Jeffrey, che avrà cura degli
aspetti manageriali, viene approntato il gruppo che affiancherà Jimi, che si
chiamerà Jimi Hendrix Experience, e
sarà composto da Noel Redding al
basso e Mitch Mitchell alla
batteria. Il primo aveva risposto ad un annuncio sul Melody maker, convinto di
dover suonare la chitarra con gli Animals
mentre invece si trovò a suonare, suo malgrado, il basso con Hendrix, e, forse
è questa uno degli aspetti peculiari del suono
hendrixiano dal momento che Redding
suonò il basso con linee melodiche cioè senza necessariamente dover dare ritmo
alla struttura del pezzo mentre Mith Mitchell, il batterista, che aveva uno stile tra Keith Moon e Ginger Baker, come dire i migliori
percussionisti del momento, era perfettamente in linea con gli standard
musicali prodotti da un power trio,
come era d’uso in quel periodo ( si pensi a Who e Cream su tutti )
assecondando di molto gli assoli e le
improvvisazioni di chitarra del loro leader. Quindi contrariamente a quando si disse all’epoca,
non furono affatto due gregari anonimi poiché ciascuno di essi contribuì non
poco a creare la base necessaria su cui il musicista nero poi improvvisava la
sua musica.
La Decca Records dopo aver commesso l’immane errore di rifiutare i Beatles rifiutò anche Jimi Hendrix ( evidentemente i
dirigenti di quella etichetta dovevano essere dei grandi sprovveduti per non dire altro ) e la Jimi Hendrix Experience finì alla Track, l’etichetta degli Who di Kit Lambert. Come si è accennato, il primo singolo del gruppo fu Hey Joe subito ben accolto nelle
classifiche inglesi. Invece la prima tourneè fuori dal suolo inglese fu in
Francia al fianco di Johnny Halliday,
facendo da spalla alla massima espressione rock francese in quel momento.
Nel 1967, anno cruciale del rock,
Jimi Hendrix pubblica Are
You
Are Experienced ? l’ album che per alcuni arriva direttamente da Marte
tanto sembrano alieni quei suoni di chitarra e quei ritmi incalzanti, colorati
momenti di straordinaria evoluzione di un suono che esprime un forte senso di
novità, un passaggio epocale verso sonorità più mature e moderne in grado di
interagire col mondo contemporaneo insieme ad altri lavori superlativi come Sgt.
Pepper’s dei Beatles e The
Piper At The Gates Of Down dei Pink
Floyd di Syd Barrett, entrambi
impegnati a rivoltare il mondo della musica rock.
Il disco di Hendrix travolge il
blues, lo esalta, lo corregge come mai nessuno aveva mai pensato di fare, lo
rende vivo e sofferente e allo stesso modo lo plasma a suo piacimento affinché
diventi materia necessaria per i suoi pirotecnici momenti circensi, rituali e
autodistruttivi simboli sacrificali, quasi un orgasmo definitivo come molti
hanno saputo interpretare le lunghe performance del maestro nero in mezzo al
palco nell’atto supremo di bruciare la propria chitarra.
Esattamente come accadde a Monterey nella serata del 18 giugno del
1967 quando, presentato da Brian Jones
dei Rolling Stones, finalmente ha
modo di esibirsi nella sua terra dopo un tempo di decantazione trascorso in
Inghilterra, che gli aveva dato i natali musicali, davanti al suo numeroso
pubblico. E fu una serata indimenticabile. Jimi Hendrix non riuscirà mai più ad
eguagliare quel concerto rimasto nella storia come la massima espressione
dell’arte hendrixiana, peraltro immortalato in un album altrettanto epocale.
Né Woodstock due anni dopo, né
altri posti nel frattempo divenuti celebri grazie al suo passaggio, avranno
l’impatto di Monterey, durant-e uno dei pochi esempi di festival di qualità,
dove Jimi Hendrix, complice una folla composta ma preparata ad ascoltare la sua
musica, la sua voce, sensuale e contorta dalle tante smorfie piegate sulle
improvvisazioni del momento, ora rabbiosa e ora allucinata, diventa
testimonianza di un periodo tra i più fulgidi della storia della musica
rock.
Jimi Hendrix pubblicherà in vita altri tre album, Axis:
Bold As Love, con copertina mistica orientale, Electric Ladyland,
un doppio che sarà il suo testamento musicale e un album live, Band
Of Gypsye, ricavato dalla sintesi di una performance al Fillmore East di New York. Dopo la sua
morte avvenuta il 18 settembre 1970 in un alberghetto della periferia di
Londra, in circostanze accidentali, l’industria della musica metterà in moto la
propria voracità iniziando con l’ignobile operazione speculativa da parte di
Michael Douglas prima di essere fermato dalla famiglia del musicista scomparso,
la quale in questi ultimi anni è riuscita a mettere ordine nella sconfinata
discografia post mortem dell’artista di seattle, con cura e affetto affinché
l’anima del più grande musicista rock, che riposa a Seattle, non si disperda
mai.
LUIGI CIAVARELLA
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